Brescia, omicidio di Sana Cheema: tutti assolti. Il processo italiano è in salita

Uccisa per il rifiuto al matrimonio combinato. Padre e fratello assolti in Pakistan: sono liberi

Sana Cheema, 25 anni

Sana Cheema, 25 anni

Brescia, 17 febbraio 2019 - «Se i familiari assolti tornassero in Italia, teoricamente potrebbero essere incriminati. Indubbiamente, ogni commento di carattere giuridico è un fuor d’opera fino a quando non si dispone e si prende cognizione delle carte processuali pakistane: cosa che spero di potere fare rapidamente». Così il procuratore generale di Brescia, Pier Luigi Maria Dell’Osso, commenta la possibilità per la magistratura italiana di portare a processo il padre e il fratello di Sana Cheema, la 25enne pachistana cresciuta a Brescia (dove ha vissuto fino al dicembre del 2017) e uccisa in Pakistan lo scorso aprile perché si era opposta a un matrimonio combinato.

Il padre e il fratello avevano inizialmente confessato l’omicidio, salvo poi ritrattare, ed erano finiti in carcere. Nelle scorse ore i due, e con loro altre 9 persone, sono stati assolti dalla giustizia pachistana e sono tornati immediatamente in libertà. Per il tribunale distrettuale di Gujrat, nel Nord-Est del Pakistan non ci sono le prove per condannarli e inoltre mancano i testimoni del delitto. L’autopsia aveva confermato l’omicidio, la ragazza aveva l’osso del collo rotto come conseguenza di uno strangolamento, ma per i magistrati pakistani nessuno degli undici imputati (quattro parenti stretti della 25enne e altre sette persone) possono essere ritenute responsabili per quella morte. Può la magistratura italiana far celebrare un nuovo processo? Tecnicamente sì. Serve però, oltre alla presenza in Italia dei presunti responsabili, anche la richiesta del ministero della Giustizia.

Lo sdegno suscitato dall'assoluzione e le reazioni di condanna espresse da gran parte della politica italiana potrebbe accelerare l’intervento del Governo. Del resto in procura a Brescia un fascicolo - titolare è il sostituto procuratore Ambrogio Cassiani - è stato aperto contro ignoti e soprattutto senza ipotesi di reato già la scorsa primavera quando la notizia dell’omicidio della ragazza dal Pakistan è rimbalzata in Italia grazie alla denuncia pubblica di alcuni amici della giovane. Al momento però non ci sarebbero prove sufficienti per portare in aula i familiari della ragazza nata in Pakistan, ma cittadina italiana. Manca poi un accordo bilaterale tra Italia e Pakistan che possa fare chiedere alle autorità pachistane di consegnare ai colleghi italiani i presunti responsabili. «Indagini se ne possono fare, ma bisogna capire che tipo di indagini portare avanti – sottolinea il procuratore reggente Carlo Nocerino –. Ci servono gli atti di chi ha indagato sul caso e soprattutto le carte processuali. Quello che abbiamo in mano a oggi è una relazione della polizia pakistana francamente carente e l’autopsia. Cercheremo di attivare tutti i canali diplomatici possibili per provare a sbloccare la situazione».