Montichiari (Brescia), 25 novembre 2024 – È rimasto agli arresti domiciliari ingiustamente per 522 giorni, quasi diciotto mesi, e ora chiede il conto alla giustizia. Torna in aula il dottor Carlo Mosca, l’ex primario reggente del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari che era finito a processo - ed era pure stato arrestato - con l’accusa di aver soppresso con iniezioni letali tre pazienti Covid durante la prima ondata pandemica del 2020 per alleggerire i reparti e poi di avere falsificato le cartelle cliniche. Ma stavolta non lo fa in qualità di imputato ma di vittima di un errore giudiziario. Mosca, che ora è in servizio al 118 dell’ospedale Civile, è stato assolto da due Corti d’Assise, in primo e secondo grado. In primo con formula piena, in secondo con formula dubitativa. Sin dall’inizio il 51enne professionista si era detto innocente. Durante la sua deposizione aveva ribadito con forza di avere fatto di tutto per salvare i suoi pazienti.
Le accuse poi cadute
”Nessuno è stato abbandonato al suo destino, non sono stato io a iniettare quei farmaci. Lo ha fatto qualcuno a cui non stavo simpatico per farmi del male”, aveva chiarito il primario, che aveva pensato a una ritorsione per le sospensioni dei riposi e i cambi di turno continui imposti durante l’emergenza Covid. Mosca era accusato di duplice omicidio volontario per avere iniettato medicinali «incompatibili con la vita”, Propofol e Succinicolina, a Angelo Paletti, 79 anni, di Isorella, e Natale Bassi, 61, di Ghedi. Casi molto complessi. A originare l’inchiesta fu la segnalazione di due infermieri che fecero girare foto di fiale vuote gettate nel cestino dei rifiuti. Nei pazienti furono rinvenute tracce dei farmaci “incriminati”.
Per la difesa, rappresentata dagli avvocati Michele Bontempi ed Elena Frigo, l’iniezione fu fatta post mortem proprio per incastrare Mosca. Un complotto insomma. I giudici hanno sposato la tesi difensiva: Mosca sarebbe stato il bersaglio di una calunnia ordita da quei due infermieri, per i quali era infatti stata disposta la trasmissione degli atti in procura. Per quell’errore giudiziario che ha leso la sua dignità professionale e umana e gli è costato appunto diciotto mesi ai domiciliari, adesso il professionista chiede un indennizzo applicato in forma massima. Lo ha fatto venerdì scorso durante un’udienza in Corte d’appello. Il sostituto pg Rita Caccamo ha dato l’assenso. La Corte ha preso tempo per decidere.