
Immigrazione, foto generica (Ansa)
Brescia, 6 novembre 2014 - Brescia, ovvero la mecca dei permessi di soggiorno falsi. Famosa tra gli immigrati di mezzo mondo per essere l’indirizzo giusto a cui rivolgersi per ottenere regolarizzazioni, rinnovi dei documenti e posti di lavoro a volontà in cambio di poche decine di euro. Tutto sulla carta, naturalmente. Carta fasulla. Un sistema costruito con il contributo sostanziale di un commercialista e con la compiacenza dell’ex dirigente dell’ufficio immigrazione della questura. È lo scenario scoperchiato dalla Procura, convinta che dietro i decreti flussi e gli iter di rilascio dei permessi si annidino troppi elementi che non quadrano. Assunzioni inventate. Ditte intestate a stranieri che si improvvisano imprenditori, aprono società che poi non hanno nemmeno una sede fisica. Posizioni irregolari all’Inps. Buste paga zeppe di errori, con importi netti pari a zero. E assenza di controlli da parte di chi per legge dovrebbe verificare.
Il pm Ambrogio Cassiani ha chiesto il rinvio a giudizio per 19 persone. Tutti stranieri, egiziani, marocchini, cinesi, tunisini, che tra il 2009 e il 2014 avrebbero contribuito a oliare i meccanismi di una centrale del permesso falso in violazione al testo unico sull’immigrazione. Chiesto il processo anche per Pierluigi Rossini un professionista con studio a Castiglione delle Stiviere (Mantova), e per la dirigente dell’epoca dell’ufficio immigrazione in questura, Roberta Di Fronzo. Stando all’accusa, che contesta 71 capi d’imputazione, a Brescia sarebbero stati emessi oltre cento permessi su presupposti inesistenti, ossia lavori che non c’erano. Gli inquirenti hanno scoperto una compravendita di buste paga intestate a finti dipendenti di presunte ditte di pulizie, volantinaggio, costruzioni - Metalmeccanica bresciana, Fresch&Clean, San Service Costruzioni, Li Jian confezioni, Il Selciatore Amer Mohamed Taha Aly srl, Alia srl – prive persino di uffici. In particolare padre e figlio egiziani intestandosi più aziende avrebbero fatto figurare decine di assunzioni. A loro il compito di spargere la voce e procacciare interessati.
A predisporre contratti e buste paga fittizi, acquistate anche mensilmente dagli aspiranti residenti in Italia e in Europa al prezzo di 150-200 euro - molti gli immigrati che di fatto risiedono all’estero - sarebbe stato Rossini, che provvedeva poi a redigere false documentazioni fiscali. A chiudere il cerchio, Roberta di Fronzo, che avrebbe omesso di eseguire qualunque controllo.