FEDERICA PACELLA
Cronaca

Monia Delpero, uccisa dall’ex nel 1989. Il racconto del calvario della madre Gigliola Bono

La donna è stata testimonial alla mostra “Io ti ascolto“ ospitata nella hall della Img, azienda di Capriano del Colle

La presentazione della mostra: Gigliola Bono è la seconda da sinistra

Capriano del Colle – “Il tempo non guarisce, ma ti obbliga a convivere con la vita. Ma quella che sto vivendo non è la vita che ho scelto io, bensì quella che l’assassino di mia figlia ha scelto per me e la mia famiglia". Gli occhi lucidi, la voce ferma, Gigliola Bono racconta il suo calvario, iniziato 34 anni fa quando sua figlia, Monia Delpero, fu uccisa a soli 19 anni dall’ex ragazzo.

La foto di Monia è ora nella hall della Img, azienda di Capriano del Colle guidata da Barbara Ulcelli, che fino all’8 agosto ospita la mostra “Io ti ascolto“ (aperta al pubblico, in orario di ufficio). L’esposizione fa parte del simbolico baule rosso partito dall’Omb Saleri a novembre grazie a Giovanna Montiglio; in Img sono esposti una ventina di testi scritti da studenti bresciani, tratti dal concorso letterario dedicato proprio a Monia.

“Un giorno Monia è uscita e mi ha detto che sarebbe tornata presto – racconta Bono – e invece non è più tornata. Dopo 30 anni, non vedo ancora un cambiamento di cultura, anzi un peggioramento. Non capisco perché lo Stato non riesca a riconoscere la violenza di genere come emergenza nazionale".

Bono si batte anche per il supporto alle famiglie delle vittime di femminicidio. Solo dopo la ratifica di una direttiva europea, l’Italia nel 2014 ha previsto un minimo riconoscimento, ma non per Monia, perché la retroattività non è arrivata fino al 1989. "Ormai ho già passato 8 tribunali, non per una questione economica, ma di giustizia. Manca anche un’assistenza, a me che ho seppellito mia figlia nessuno è venuto a chiedermi come stavo".

Per Piera Stretti, di Casa delle donne di Brescia, "c’è oggi la percezione dell’emergenza perché prima la violenza era considerata normale, all’interno di un destino femminile. Vero che la giustizia remunerativa per le vittime in Italia è molto secondaria rispetto ad altre forme di violenza. Manca una giustizia riparativa, purtroppo si attribuisce alla donna la responsabilità di ciò che è accaduto".

"Tante si autocolpevolizzano o si autocensurano anche quando si rivolgono a noi – evidenzia Viana Cassini, presidente di Casa delle donne, che nel 2023 ha accolto già 138 donne, con 63 prese in carico (11 i nuclei familiari in case protette, con 12 minori). Parlare di questi temi in azienda può agevolare il cambio di passo".

"Le aziende sono promotrici di cambiamento sociale – sottolinea Ulcelli –. Se vogliamo far sì che non ci siano più vittime, qualcuno deve darci una mano, passare dalla comprensione all’ascolto e dall’ascolto alla vicinanza".