Omicidio di Daniela Bani, la fuga in Tunisia non basta: ergastolo per l'assassino

Brescia, 37 coltellate alla donna poi il volo verso il suo Paese d'origine. Mootaz Chambi giudicato in patria, in Italia si era fermato a trent’anni

Daniela Bani

Daniela Bani

Palazzolo sull'Oglio (Brescia) - Il 22 settembre 2014 Mootaz Chambi uccise la moglie Daniela Bani, 30 anni, madre dei suoi due bimbi di 4 e 7 anni, a coltellate nella loro abitazione a Palazzolo sull’Oglio, Ovest bresciano. Poi fuggì in Tunisia, dove rimase latitante quasi cinque anni finché nel febbraio 2019 finì in cella per un mandato di cattura internazionale. Già condannato in via definitiva dalla giustizia italiana a 30 anni, il 42enne, dietro le sbarre nel Paese d’origine, ora si è visto ribaltare il verdetto dai giudici di Tunisi, che lo hanno riprocessato e condannato all’ergastolo.

La notizia è stata accolta come una liberazione dalla mamma della vittima Giuseppina Ghilardi, che per anni con il suo avvocato Silvia Lancini si è battuta per avere giustizia e garanzia di una pena certa. «Quando ho saputo che gli avrebbero rifatto il processo mi sono spaventata, ho temuto che lo avrebbero scarcerato – dice Giusy, che dal giorno dell’omicidio si è calata nei panni di mamma a tempo pieno per i nipotini, Youssef e Rayen, il cui cognome è stato cambiato in Bani –. Per molto tempo peraltro ho ricevenuto telefonate anonime dalla Tunisia, sentivo delle donne urlare qualcosa in arabo. Ero molto in pensiero. Inoltre penso sia giusto che quell’uomo paghi quello che fatto paghi con il carcere a vita». Geloso e incapace di accettare che Daniela volesse separarsi, Chambi otto anni fa, chiuso il figlioletto primogenito nella cameretta a giocare con la playstation, finì la moglie con 37 coltellate. Fuggito, condusse vita normale fino al 2019 finché, dopo che i familiari della vittima fecero intercedere il governo di allora, fu rintracciato e arrestato. Nel frattempo in Italia fu condannato da contumace in tre gradi di giudizio. Non fu riconosciuta la premeditazione. Da quel momento si aprì un lungo periodo di incertezza, costellato da ripetuti appelli e lettere di Giusy Ghilardi alle istituzioni. 

«Abbiamo scoperto che l’estradizione sarebbe stata impossibile – spiega l’avvocato Silvia Lancini –.Per evitare che Chanbi tornasse in libertà, giacché la Tunisia non riconosceva le sentenze italiane ed era ancora in custodia cautelare, abbiamo sollecitato i ministri e il capo dello Stato per una ricelebrazione del processo laggiù». Cosa che è effettivamente avvenuta, sulla scorta degli atti del procedimento di Brescia’. Conclusione: «I giudici di prima istanza (di primo grado, ndr) lo scorso 19 ottobre hanno inflitto l’ergastolo. La Farnesina ce l’ha comunicato solo di recente. Sappiamo anche che la condanna è già stata appellata, ma non ci sarà istruttoria. Dovrebbe trattarsi solo di un passaggio formale».