Estorsioni e usura con tassi al 90%: gli affari della 'Ndrangheta nel Bresciano

Il processo per l'inchiesta "Atto Finale" ha svelato l'organizzazione e gli interessi della cosca Facchineri nell'edilizia e nei metalli

Processo per l’inchiesta "Atto finale"

Processo per l’inchiesta "Atto finale"

Brescia - Le tentate estorsioni? Furono compiute con l’aggravante del metodo mafioso. Si è concluso con 3 condanne e 3 assoluzioni il processo in abbreviato per i principali protagonisti di “Atto finale“, uno degli ultimi colpi dell’Antimafia alla ’ndrangheta, che nell’autunno 2021 aveva fatto finire in manette 19 persone (sotto indagine una sessantina) per estorsione, usura, associazione finalizzata a frodi fiscali, il tutto aggravato dal metodo mafioso.

Al centro dell’inchiesta, condotta dalle pm Roberta Panico, Erica Battaglia e Carlotta Bernardini, un gruppo di pregiudicati calabresi e non solo, ritenuti vicini ai Facchineri di Cittanova (Reggio Calabria), il clan da un ventennio radicato nel Milanese.

Per l’accusa una cosca in espansione nel Bresciano tra gli imprenditori dell’edilizia, dei metalli, del noleggio e del commercio di auto, interessati a protezione e aiuto. I presunti boss, i cugini Vincenzo e Giuseppe Facchineri, hanno affrontato il processo in abbreviato e sono stati condannati rispettivamente a 4 anni e 5 mesi e a 3 anni e 4. Coimputato davanti al gup Christian Colombo anche il cognato Salvatore Muia – assolto – il collaboratore Fiorin Ionescu, al quale sono stati inflitti 2 anni e mezzo, e i presunti fiancheggiatori milanesi Massimiliano Bisci e Francesco Scalise, assolti.

L’accusa era a vario titolo tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un imprenditore di Desenzano, ma gli imputati hanno un conto aperto con la giustizia anche per altri episodi. Il gup ha ritenuto nel caso specifico sussistente l’aggravante solo per i cugini. L’indagine aveva posto in luce non solo azioni estorsive e di strozzinaggio con tassi fino al 90% ma anche l’esistenza di una serie di società cartiere, per la Procura riconducibili alla ’ndrangheta, dedite all’emissione di fatture false e ai reati tributari. Il procedimento è suddiviso in più processi, ancora in corso.