Caso Bozzoli, il sogno di Giacomo: uccidere lo zio

L'imprenditore eliminato dai nipoti per divergenze aziendali. Il procuratore generale: "Ci sono movente e una mole di indizi"

I carabinieri stanno cercando Mario Bozzoli scomparso a Marcheno

I carabinieri stanno cercando Mario Bozzoli scomparso a Marcheno

Brescia, 22 maggio 2019 - Giacomo Bozzoli da anni immaginava di uccidere lo zio Mario. Sognava di togliere di mezzo quel parente scomodo, un ostacolo alle sue idee di business all’insegna di qualità bassa e guadagni alti. Ripeteva che prima o poi l’avrebbe fatto fuori. Proponeva agli operai di aggredirlo, se non di ucciderlo, in cambio di un compenso. Con il fratello Alex aveva cercato di procurarsi una pistola contattando pregiudicati della zona. Per gli inquirenti l’occasione per compiere l’agognato delitto perfetto si è presentata la sera dell’8 ottobre 2015, nella fonderia di famiglia a Marcheno. Non c’è il cadavere, non c’è l’arma. Ma ci sono un movente «robusto» e una «mole di indizi concordanti». Parola del pg Pierluigi Maria Dell’Osso, che dopo avere avocato nel marzo 2018 l’indagine sulla scomparsa dell’imprenditore cinquantenne ha chiuso il caso e, salvo sorprese, si prepara a chiedere il processo per omicidio premeditato e distruzione di cadavere.

Gli autori materiali, dice Dell’Osso, sono Giacomo e Alex, i nipoti, che l’avrebbero fatta franca grazie alle reticenze dei dipendenti di turno, Oscar Maggi e Aboagje “Abu” Akwasi, che rispondono di favoreggiamento. Di turno c’era anche Giuseppe Ghirardini, addetto ai forni, trovato avvelenato dal cianuro sei giorni dopo tra i monti di Ponte di Legno in circostanze tuttora sotto inchiesta. «In tre anni e mezzo di indagine non è emerso un elemento che possa far ipotizzare la presenza in vita di Mario Bozzoli, ucciso al di là di ogni ragionevole dubbio nello stabilimento». A lungo si è ipotizzata la spinta nei forni, ma una perizia lo ha escluso: troppo piccoli per farvi entrare un uomo alto e corpulento come lui. E l’eventuale passaggio, ha concluso il perito, avrebbe lasciato tracce mai trovate. Lungo l’elenco di indizi a carico dei nipoti, rimasti in silenzio. A cominciare dalle telecamere delle fonderia, spostate otto giorni prima del delitto in modo «irrazionale» per inquadrare soffitti e piante: «Solo i fratelli erano in possesso dei codici per il controllo da remoto». Poi c’è il progetto di eliminare lo zio, che Giacomo ripeteva come un mantra, confidato anche alla fidanzata avuta fino al 2011: «Io avrei dovuto far parte del piano», ha raccontato Jessica ai carabinieri e poi in sede di incidente probatorio. E ancora, c’è la Porsche Cayenne bianca di Giacomo, che la sera dell’8 ottobre 2015 compie manovre strane.

Mario a fine turno poco dopo le 19 scende dal muletto e si avvia verso gli spogliatoi. Telefona alla moglie: «Mi cambio e arrivo». Attraversa il capannone dei rottami. È qui che viene ucciso - come, non si sa - perché nello spogliatoio, dove sono rimasti gli abiti, non ci arriva. La sua macchina è posteggiata nel piazzale, con portafogli, telefono e una fattura da 47mila euro intestata alla Bozzoli srl a favore dell’azienda concorrente che il fratello Adelio e i figli progettavano a Bedizzole, da cui però era stato escluso. Per lui un duro colpo. Per l’accusa i nipoti erano in quel capannone, così come Maggi e Abu, che non possono non essersi accorti dell’omicidio.

La porsche alle 19 passate viene inquadrata mentre lascia la fonderia e nel giro di pochi minuti ritorna. Posteggia su una pesa, proprio vicino al capannone dei rottami, in un’area scomoda e mai usata. Giacomo racconta di essere tornato perché si è dimenticato di impartire ordini per un cambio di produzione di leghe, ma il tragitto compiuto a piedi per andare in reparto è tortuoso. Incontra Alex che non rispondeva al telefono, poi se ne va. E appena se ne va, il fratello impartisce un contrordine agli operai. Per Dell’Osso quel rientro era una scusa: sulla Porsche c’era il corpo, avvolto in sacchi impermeabili per evitare tracce e portato chissà dove (ma i telefoni non agganciano celle fuori dai percorsi ordinari). Pesano come macigni infine i rapporti deteriorati con Mario, a detta della moglie Irene Zubani ostracizzato e spaventato dai nipoti. Il movente affonda in una profonda spaccatura tra i due rami della famiglia, «insanabile». «Giacomo puntava a prodotti economici e redditizi, lo zio ad alta qualità. Non solo. Bozzoli li aveva accusati di truffa per avere ottenuto una forte liquidazione assicurativa per un banale incidente ai forni raccontato come uno scoppio».