"Io picchiato da un passeggero: a casa undici mesi per il trauma"

Le ferite fisiche, seppur con fatica, alla fine passano; ma, dopo un’aggressione, resta la paura, anche dopo anni. Lo sa bene Michele Mosconi (nella foto), autista di Brescia Trasporti, vittima di un brutto episodio avvenuto nel 2009.

"Ero alla guida del bus, non lontano dal deposito di Brescia Trasporti di via San Donino – racconta – quando un uomo è salito e mi ha aggredito perché il bus aveva un ritardo di 6, 7 minuti. Mi ha spinto contro il finestrino, picchiandomi. Fortunatamente sono riuscito a fermare il bus, prima che potessero esserci conseguenze anche per i passeggeri che trasportavo".

Una violenza improvvisa e inaudita, che ha lasciato strascichi non indifferenti. "Sono stato a casa 11 mesi per il trauma, perché poi subentrano tante problematiche che rimangono".

Non ci sono report ufficiali sulle violenze perpetrate sui mezzi pubblici, ma chi lavora nel Tpl parla di situazioni quotidiane.

"Mi è capitato di essere in anticipo di 4 minuti rispetto all’orario in cui sarei dovuto arrivare a una fermata, ma mi sono guardato bene dal rallentare visto ciò che è accaduto al collega", ha raccontato un altro autista, durante il presidio che si è svolto ieri davanti al deposito di Brescia Trasporti in solidarietà al conducente picchiato perché andava troppo lentamente (secondo gli aggressori, tossicodipendenti già noti alle forze dell’ordine).

Le soluzioni? Quella più immediata potrebbe essere la realizzazione di barriere protettive per gli autisti, che impediscano agli utenti di poter entrare in contatto con loro, limitando l’accessibilità di potenziali aggressori. Più difficile pensare di fare lo stesso con gli accertatori, che pure sono vittime di angherie, ma sarebbe già un passo in avanti. Evitare salti delle corse e ritardi, poi, potrebbe limitare le esplosioni di rabbia degli utenti, pur tenendo come punto fermo che nulla può giustificare la violenza.

Federica Pacella