I volti della Festa della Liberazione. L’immunità, la rinuncia, la cattura. Invernizzi, il boscaiolo partigiano

Fu esonerato, ma nel maggio del 1944 si unì alla contesa. Deportato in Germania, tornò a Moggio il 26 aprile

MOGGIO (Lecco)

Dopo l’armistizio era stato esonerato dal continuare a combattere con i nazifascisti e avrebbe tranquillamente potuto rimanere a casa, nella sua Moggio. Invece ha deciso di continuare come partigiano, a rischio della sua stessa vita e di essere catturato e internato, come successo. Francesco Invernizzi aveva 19 anni quando il 19 gennaio 1942 venne obbligato a lasciare Moggio, all’epoca frazione di Cremeno, per la chiamata alle armi durante la Seconda guerra Mondiale: 29esimo Reggimento Fanteria, 6° settore Guardie di frontiera, matricola 19579. L’8 settembre del ‘43 si trovava con i suoi commilitoni a Torre Pellice (Torino): riuscì a scappare e tornare in Valsassina, prima come sbandato, poi come boscaiolo regolarmente assunto, un mestiere quello di taglialegna che gli valse la dispensa dal servizio militare. "Occupa un posto importante nella conduzione bellica", recita il certificato di esonero provvisorio redatto in italiano e in tedesco. Nonostante quel documento in tasca che valeva più di un’immunità, Francesco il 15 maggio 1944 si unì ai partigiani della 68esima Brigata Garibaldina in Val Taleggio, una decisione che, l’11 ottobre, gli costò la cattura da parte dei repubblichini delle Brigate Nere, l’arresto in carcere a San Vittore e, il 2 novembre, la deportazione in Germania con la matricola tatuata sul braccio numero 60957.

Destinazione: campo di prigionia n° 19 di Gusee a Magdeburgo. Nel marzo 1945, durante un bombardamento degli Alleati Francesco riuscì a evadere con altri valsassinesi. Arrivò a casa, di nuovo nella sua Moggio, il 26 aprile.

Daniele De Salvo