Fece a pezzi gli zii, rifiuta la revisione. "Preferisco l’ergastolo da innocente"

Brescia, Guglielmo Gatti da dieci anni è in cella da solo. E studia. Rimasto solo in casa dopo la morte del padre criticava fortemente le sue vittime che passavano il tempo divertendosi di Gabriele Moroni

Guglielmo Gatti nella villetta

Guglielmo Gatti nella villetta

Brescia, 30 luglio 2015 - Si è sempre proclamato innocente, ma ha rifiutato di tentare la strada della revisione del processo. «Alla luce - dice il difensore Luca Broli, che lo ha assistito nei tre gradi di giudizio - di un paio di elementi nuovi che eravamo riusciti a raccogliere, c’era la possibilità di chiedere la revisione. Ha detto che preferiva lasciare perdere. «Ho fatto il processo, l’ho subito, ho dichiarato quanto dovevo dichiarare. Non sono stato creduto. Accetto la sentenza». È la sua etica personale. Sono i suoi principi, che porta avanti con coerenza».

Dieci anni e un ergastolo non l’hanno per nulla cambiato. Guglielmo Gatti, l’uomo che sconta il carcere a vita perché ritenuto colpevole di avere ucciso e fatto a pezzi nell’estate del 2005, a Brescia, gli zii Aldo Donegani e Luisa De Leo, mantiene nel carcere di Opera i comportamenti privati di quando era un uomo libero.

È l'individualista solitario di sempre. Cella singola, l’unica richiesta subito avanzata alla direzione dell’istituto. A volte «portantino», addetto a raccogliere le richieste degli altri detenuti per cibi, letture e altro, a volte «spesino», impegnato come bibliotecario o nella gestione delle parti comuni. Da luglio dello scorso anno, per disposizioni europee sullo spazio a disposizione, le celle rimangono aperte per alcune ore della giornata. Gatti rimane nella sua, in compagnia dei libri. La biblioteca del carcere è fornita, soddisfa molte richieste del detenuto. Quando non è possibile, Gatti si fa arrivare i libri da fuori. Ha mantenuto la sua vocazione scientifica, i testi di matematica e fisica sono i preferiti, ma legge anche di filosofia e storia.

Niente visite, a parte quelle del difensore, nessun contatto con l’esterno. «Nell’ultimo incontro - dice il legale - mi ha detto: “Avvocato, non si disturbi, se necessito di qualcosa, la chiamo“. Qualche anno fa gli ho portato i pochi parenti, tutte persone anziane. A loro ha fatto questo discorso:“È l’ultima volta che vi vedo. Non venite qui. Per voi sarebbe causa di disturbo, disagio, fatica venire in un ambiente come questo. Possiamo scriverci“».

Il primo agosto del 2005 Luciano De Leo denuncia la scomparsa degli zii Aldo Donegani (77 anni) e Luisa De Leo (61) dalla loro abitazione, una palazzina al numero 13 di via Ugolini, a Brescia. «Saranno fuori», dice l’altro nipote, Guglielmo Gatti, che abita al piano di sopra. Guglielmo ha 41 anni. Studente di lungo corso di ingegneria al Politenico di Milano, schivo, taciturno, appassionato di computer, studia il giapponese. I carabinieri lo vanno a prelevare il 17 agosto. Poche ore prima un ragazzino aveva riferito di avere riconosciuto al Passo del Vivione, in Valcamonica, la Fiat Punto blu del sospettato numero uno, un volto assorto e malinconico passato decine di volte in televisione. È la svolta. Riemergono in un dirupo i sacchi dell’immondizia con i resti delle vittime decapitate, smembrati a colpi di cesoia. E poi alcune confezioni di sedano appena acquistate e gettate per sbaglio insieme con i resti dei cadaveri, mentre lo scontrino è rimasto nella camera da letto di Guglielmo. Le teste dei due anziani vengono ritrovate più tardi da una coppia di cercatori di funghi, in un bosco a Provaglio d’Iseo.

Il 16 maggio 2007 la Corte d’Assise di Brescia condanna Gatti all’ergastolo e a tre anni di isolamento, sentenza confermata in appello il 20 giugno 2008 e resa definitiva dalla Cassazione il 12 febbraio 2009. La sentenza di morte, scrivono i giudici di primo grado nelle 225 pagine delle motivazioni, sarebbe stata emessa il primo giugno del 2005, due mesi prima del duplice omicidio: era il giorno della morte del padre dell’imputato. «Momento cruciale e topico - scrivono i giudici - perché Guglielmo Gatti - già orfano di madre - si ritrova solo, capisce che la sua vita è azzerata, che deve cominciare daccapo». Gatti, fino a quel momento «chiuso nell’alveo protettivo della famiglia che gli garantiva tranquillità e sicurezza» deve ora misurarsi con gli zii del piano di sotto, “coppia felice e piena di vita che andava a ballare e in vacanza, fortemente criticati dai Gatti». gabriele.moroni@ilgiorno.net