
di Beatrice Raspa
Otto mesi di reclusione. È la condanna chiesta ieri in aula per un sessantenne, facoltoso imprenditore, a processo per uno stalking singolare nei confronti di una avvenente signora di 40 anni, moglie di un professionista, alla quale per l’accusa avrebbe piazzato un Gps sotto l’auto per spiarne i movimenti. Legame tra imputato e parte offesa: in apparenza nessuno, nemmeno una conoscenza superficiale, se non che entrambi all’epoca dei fatti contestati avevano figli coetanei, compagni della stessa scuola media.
La donna accusa lo sconosciuto di avere ingenerato un perdurante stato d’ansia, a lei e al figlio, per averla pedinata a ripetizione con il suo Suv tra l’inverno e la primavera 2017 per ragioni mai chiarite. Stando al racconto di lei, tutto iniziò una mattina di gennaio. Accompagnato il ragazzo in classe, la signora avrebbe avvistato il Range rover epoque dell’uomo, padre di due adolescenti adottate che frequentavno il medesimo istituto, dietro il suo. Quella che all’inizio era apparsa una casualità a sentire la donna si sarebbe trasformata con il tempo in una costante. Quel suv pare si palesasse sempre più spesso nel suo raggio d’azione. Lungo il tragitto verso casa, al bar, in via Crocifissa di Rosa, dove la quarantenne faceva spesso colazione. Una mattina di maggio addirittura la signora e il consorte avrebbero sorpreso l’imprenditore ad armeggiare sotto la Mercedes della signora parcheggiata nei dintorni del bar. Portata l’auto dal concessionario, la proprietaria vi trovò un voluminoso traccia persone agganciato sotto la scocca. Risultato: il consorte decise di affrontare il presunto stalker in strada, chiedendo conto del suo comportamento anomalo e minacciando una denuncia per farlo smettere. L’imprenditore cadde dalle nuvole, a suo dire non conoscendo né lei, né lui. Per l’avvocato Giuseppe Pesce, che lo difende, va assolto per più ragioni: "I racconti della signora non sono attendibili né circostanziati. Il mio assistito non l’aveva mia vista prima e non l’ha mai seguita, si limitava a muoversi in una zona compatibile con le sue attività quotidiane. Nel suo telefono non c’è traccia di quella donna. Solo una foto del marito, scattata dopo l’aggressione subita". Quanto al misterioso Gps tracker trovato sotto la Mercedes, un apparecchio lungo otto centimentri per quattro, sarebbe tutto un equivoco: la versione difensiva è che l’aggeggio, in origine attaccato alla pettorina del cane dell’imputato, quella mattina si sganciò e finì proprio sotto l’auto della sconosciuta, cui rimase attaccato per via del magnete contenuto. "Ma secondo voi uno si inginocchia in pieno giorno, in una via frequentata, per attaccare un Gps?" ha arringato Pesce. "Tesi inverosimili, al limite della finzione cinematografica e letteraria – ha controbattuto l’avvocato Sandro Brizzi di parte civile, chiedendo la condanna e un’equa provvisionale –. La sua era una condotta deliberata. Non è mai stato chiarito solo il movente: forse il pedinamento era commissionato da terzi rimasti ignoti?". Sentenza il 16 febbraio.