Alzheimer a 19 anni, il neurologo Padovani: "Caso più unico che raro"

Già da adolescente, il giovane cinese aveva iniziato ad accusare una progressiva perdita della memoria e per di più in assenza di fattori ereditari. L'esperto: "Qui a Brescia un caso di una 32enne"

I casi di Alzheimer precoce sono in aumento

I casi di Alzheimer precoce sono in aumento

Brescia, 16 febbraio 2023 -  Il più giovane malato di Alzheimer sarebbe un ragazzo cinese di 19 anni in cura da un gruppo di neurologi cinesi della Capital Medical University di Pechino. 

"Siamo in attesa di capirne di più ma credo comunque si tratti di un caso più unico che raro", ha commentato all'agenzia Dire, il direttore della Clinica Neurologica Università di Brescia e presidente eletto della Società italiana di neurologia (Sin), Alessandro Padovani. E ha spiegato: "È sorprendente, inaspettatamente sorprendente, perchè nessuno di noi avrebbe mai pensato di poter avere notizie di un caso di Alzheimer così giovane. La seconda questione che stupisce è che sembra non ci sia familiarità e non ci sia un dato genetico a sostegno di un caso tanto precoce. Da una parte questo è sorprendente ma dall'altra è estremamente interessante, perchè vorrebbe voler dire che questa malattia può presentarsi o con una mutazione genetica non nota, ma a distanza di tanti anni di ricerche genetiche questo sarebbe una sorpresa nella sorpresa, oppure c'è qualche altro fattore che ci sfugge e che ha determinato la comparsa di questa condizione".

La notizia, riportata dal Journal of Alzheimer's Disease è destinata a suscitare scalpore in campo clinico e nell'ambito dei disturbi cognitivi, poichè il ragazzo è la persona più giovane al mondo alla quale è stata diagnosticata la malattia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo. I neurologi cinesi della Capital Medical University di Pechino, che lo avevano in cura nella loro struttura, spiegano che i disturbi della memoria hanno iniziato a fare la propria comparsa nel ragazzo già a partire dai 17 anni, con un rapido peggioramento nei due successivi e, nelle conclusioni del loro studio, parlano di "atrofia dell'ippocampo bilaterale e ipometabolismo nel lobo temporale bilaterale", aggiungendo che "non sono state identificate mutazioni genetiche note".

"Un altro elemento sorprendente - ha proseguito  Padovani- è che alcune indagini Pet non siano risultate positive e che la diagnosi sia arrivata attraverso biomarcatori liquorali, oltre che dalla valutazione della risonanza. È un caso certamente originale e sorprendente, ma nelle sorprese ci sono tante altre questioni che richiedono una interpretazione. Siamo in attesa di capirne di più ma credo comunque si tratti di un caso più unico che raro".

La demenza di Alzheimer, informa l'Istituto superiore di sanità, oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. "Tutti noi che lavoriamo in questo ambito - ha affermato il neurologo - potremmo dichiarare di avere avuto casi giovanili di Alzheimer. Qui a Brescia ne abbiamo avuto di circa 32 anni, una paziente che aveva una familiarità, così come abbiamo avuto un paziente che a 36 anni aveva cominciato a manifestare una malattia che poi si è rivelata essere legata ad una mutazione 'de novo', che quindi si è formata in lui. E in letteratura ci sono casi intorno ai 40-45 anni, ma devo dire che nessuno di noi si aspettava di trovarne al di sotto dei 30".

"Generalmente - ha aggiunto l'esperto - gli esordi precoci sono più veloci rispetto agli esordi tardivi. Possiamo anche definire l'esordio tipico dopo i 60 anni un esordio che ha i suoi anni di tempo e se la persona è sana, ovvero non ha malattie rilevanti, può andare avanti anche per più di una decina d'anni. Nelle forme giovanili, spesso la mutazione determina un peggioramento grave della questione cerebrale, ma essendo molto giovani, le persone possono rimanere in una situazione di demenza per lungo tempo. Io stesso ho seguito una persona per 17 anni. Non è dunque prevedibile cosa succederà a questo giovane 19enne. Si tratta, comunque, di un aspetto di grande interesse scientifico, ma fino a quando non avremo una spiegazione di cosa è successo, non possiamo pronunciarci. La mia aspettativa è, però, che questo ragazzo evolverà rapidamente verso una forma di demenza molto impegnativa, molto grave".

"Verosimilmente - ha voluto precisare - i colleghi che lo hanno in cura gli proporranno una terapia sperimentale con farmaci anti amiloide e oggi non possiamo sapere cosa succederà in lui. Sappiamo, però, che in alcuni pazienti sottoposti a trattamenti sperimentali con farmaci anti amiloide si è avuto un arresto dell'evoluzione della malattia. Non possiamo sapere se questi trattamenti proteggeranno il giovane dall'evoluzione della patologia". "Anche di fronte a soggetti che iniziano con disturbi di memoria- ha sottolineato inoltre il direttore della Clinica Neurologica Università di Brescia - bisogna cominciare a pensare che ci possa essere una malattia che esordisce legata all'Alzheimer. Dobbiamo forse comprendere meglio quali siano i fattori che contribuiscono a questa accelerazione e tutto ciò apre un nuovo campo di ricerca". "Non credo che questo abbia a che fare con le ultime pandemie - ha concluso  Padovani- ma certamente ci sono fattori sconosciuti che, se scoperti, potrebbero essere utili anche per la gestione dei pazienti con una malattia classica. Questo caso potrebbe inoltre aprire scenari imprevedibili per soggetti con malattia di Alzheimer e forme più comuni".