Finto sequestro di Al Qaeda, processo verso Brescia

Alessandro Sandrini, di Folzano, rimase prigioniero in Siria per 2 anni. Secondo la Procura di Roma inscenò tutto

Alessandro Sandrini in uno dei video diffusi all’epoca del suo rapimento

Alessandro Sandrini in uno dei video diffusi all’epoca del suo rapimento

Le difese chiedono che il procedimento venga trasferito a Brescia, là dove secondo l’accusa si sarebbero consumati i reati, per incompetenza territoriale. Sono le ultime novità emerse dall’udienza preliminare in corso a Roma, davanti al gup Marisa Mosetti, per la vicenda del presunti finti sequestri - partiti come una messinscena ma poi diventati veri - nella quale risultano coinvolti nove imputati. A cominciare da Alessandro Sandrini, il 36enne operaio bresciano di Folzano rapito nell’ottobre 2016 ad Adana, in Turchia, finito in mano alle milizie queadiste e ritornato in Italia solo il 23 maggio 2019 grazie all’intervento dello Stato. La procura di Roma lo accusa di truffa e simulazione di reato. Perché quel rapimento l’avrebbe concordato lui stesso con i suoi ex sodali per spartirsi il riscatto - questa la tesi accusatoria - ma poi qualcosa andò storto e davvero fu ceduto ai jihadisti, che lo tennero prigioniero a lungo.

Per questo Sandrini, assistito dall’avvocato Massimiliano Battagliola, affronterà il processo nella doppia veste di imputato e di parte offesa. La sua costituzione di parte civile è stata formalizzata ieri. In aula ci sono poi anche i presunti organizzatori della “bufala“, ovvero gli albanesi Fredi Frrokaj, 42 anni, di Flero, Olsi Mitraj, 41 anni di Gussago, e Alberto Zanini, 54 anni, di Mazzano, Ibrahim Hashem Mohamed Hashad, 51enne egiziano di casa in centro a brescia, Marco Caraffa, 50enne catanese residente in Germania. Irreperibili invece un 42enne albanese, un 43enne marocchino e un 73enne siriano. Il gruppo risponde a vario titolo di due sequestri con finalità di terrorismo. Frrokaj in particolare, ritenuto dalla procura il boss, avrebbe indotto a recarsi ad Antiochia, sempre in Turchia, non solo Sandrini ma pure l’ex imprenditore bresciano Sergio Zanotti.

La scusa in questo caso fu un viaggio per comprare dinari iracheni fuori corso. Anche il 61enne, in un gemellaggio anomalo di circostanze, si ritrovò alla fine in Siria, alla merce’ dei jihadisti Jund Al Aqsa, da cui venne rilasciato solo il 5 aprile 2019. Sandrini, invece, problemi di tossicodipendenza, vari guai con la giustizia, tanto che quando rientrò a Brescia fu posto ai domiciliari per due rapine, una ai danni di un punto vendita Tigotà, l’altra a una tabaccheria, fu consegnato al Turkestan Islamic part. A differenza sua, Zanotti non si è costituito parte civile. Il collegio difensivo, si diceva, ha perorato l’istanza dello spostamento del fascicolo a Brescia, e il pm non si è opposto. Il giudice si è riservato la decisione. L’udienza è stata aggiornata al 9 marzo.