E sempre più volatili lasciano la Pianura Padana

La presenza di uccelli negli ambienti agricoli della pianura padana è diminuita del 50% nel 2023 rispetto al 2022, secondo uno studio della Lipu. Questo evidenzia la necessità di rafforzare il Green Deal e la transizione ecologica per proteggere la biodiversità. L'agricoltura intensiva ha causato il declino di molte specie, ma ci sono ancora possibilità di ripresa nelle aree agricole meno intensive. Misure agroecologiche come la riduzione dell'uso di fitofarmaci e dei fertilizzanti sono necessarie per il futuro.

E sempre più volatili lasciano la Pianura Padana

E sempre più volatili lasciano la Pianura Padana

Presenze di volatili dimezzate negli ambienti agricoli della pianura padana: nel 2023, se ne sono perse il 50% rispetto al 2022, contro una media nazionale del -36%. "Sono ancora peggiori dell’anno precedente i nuovi dati 2023 sulla presenza di uccelli nelle zone agricole, a conferma che il Green Deal e la transizione ecologica devono proseguire senza indugi e anzi rafforzarsi, sapendo conciliare le esigenze della produzione agricola con l’indispensabile tutela della biodiversità" dichiara la Lipu, Lega italiana protezione uccelli, rendendo noti i risultati del 2023 del suo studio sul Farmland Bird Index, l’indicatore che descrive l’andamento delle popolazioni degli uccelli comuni delle aree agricole.

L’indice è calcolato dalla Lipu su incarico del ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste, nell’ambito della Rete rurale nazionale. "I dati del nuovo Fbi sono drammatici – spiega Federica Luoni, responsabile Agricoltura della Lipu – con 20 delle 28 specie prese in esame, oltre il 70% del totale, con indici di popolazione in declino significativo. Si tratta, tuttavia, di numeri purtroppo attesi, poiché nessuna delle politiche e delle misure che avevano lo scopo di invertire la tendenza è stata messa in atto".

L’agricoltura intensiva degli ultimi decenni, secondo i dati Fbi, ha portato al crollo di specie in passato molto presenti, come la rondine (-51%), l’allodola (-54%) o la passera d’Italia (-64%), più che dimezzate, e la quasi scomparsa di specie come l’averla piccola (-72%), il saltimpalo (-73%), il torcicollo (-78%), il calandro (-78%). In leggera ripresa appare invece l’Fbi per le specie delle praterie montane, come stiaccino, culbianco e altre, pur attestandosi però su un -24% complessivo.

"Nonostante il quadro negativo, le possibilità di ripresa ci sono – conclude Luoni – in particolare in quelle aree agricole dove la produzione è meno intensiva e industriale e dove la biodiversità ancora è presente. Per questo è importantissimo incentivare le misure naturalistiche dalle quali l’agricoltura non può che trarre beneficio in termini di salute del suolo, presenza di impollinatori, ricchezza dei servizi ecosistemici, qualità del cibo e del paesaggio. Il futuro è questo". Tra le misure agroecologiche, c’è la riduzione del 50% dell’uso del fitofarmaci, dimezzare le perdite di sostanza organica del suolo, ridurre del 20% l’uso dei fertilizzanti. F.P.