
L’indiano arrestato dai carabinieri
Brescia, 27 febbraio 2019 - Diventa definitiva la condanna a 14 anni di carcere nei confronti di Ajaib Singh, l’indiano di 33 anni che la sera del 20 novembre del 2015 ha cercato di uccidere la moglie Parvinder “Pinky” Aoulakh, oggi 30enne. La Corte di Cassazione ha infatti respinto il ricorso dell’uomo difeso dall’avvocato Gianfranco Abate e ha confermato la condanna che gli era stata inflitta dalla corte d’Appello di Brescia. Nel novembre di tre anni fa Singh, non nuovo a raptus violenti contro la moglie e in carcere dal momento dell’aggressione (la richiesta di arresti domiciliari è sempre stata respinta dai giudici), era rientrato ubriaco nella casa di Dello che divideva con la moglie, che nel frattempo ha ottenuto la separazione, e i due figli piccoli.
Lui e la moglie avevano litigato, per questioni di denaro, e l’uomo annebbiato dall’alcol si era scagliato contro la donna arrivando a gettarle addosso del liquido infiammabile. Subito dopo la sua follia l’aveva portato a darle fuoco davanti ai bimbi terrorizzati. La ragazza era uscita per strada avvolta dalle fiamme. Solo l’intervento dei vicini di casa aveva evitato il peggio. Il marito era stato arrestato qualche ora dopo, lei era invece stata portata in ospedale. Per giorni la ragazza indiana, cresciuta nel Bresciano dove era arrivata bambina insieme alla famiglia, era rimasta ricoverata in gravi condizioni a Genova. «L’imputato non ha mai mostrato alcuna resipiscenza per quanto accaduto e neppure ha offerto alcun risarcimento per i gravi danni fisici e psichici subiti dalla madre dei suoi figli – avevano sottolineato nelle motivazioni i giudici di secondo grado dopo avere confermato la condanna a 14 anni - La ragione della condotta posta in essere risiede in un futile motivo di orgoglio maschile».
Una lunga riabilitazione per far rimarginare le ferite, sia quelle inferte dalle fiamme sulla pelle che quelle rimaste nel cuore e nella mente, poi Pinky era ritornata alla propria vita grazie all’affetto dei suoi familiari e dei suoi bambini innocenti testimoni di quella notte di violenza e follia. A sostegno della ragazza, arrivata in Italia da bambina e che qui aveva studiato (parla diverse lingue) e trovato un posto di lavoro come impiegata, si erano mossi in tanti, dall’amministrazione comunale di Dello alla Cgil che l’aveva fatta diventare un simbolo della violenza contro le donne. Ora sulla vicenda, almeno per quella penale, scorrono i titoli di coda.