
Carlo Maria Maggi
Brescia, 27 dicembre 2018 – «Umanamente mi dispiace. Sapevo delle sue precarie condizioni di salute e sia dopo la condanna in Appello del 2015 che quella in Cassazione del 2017 avevo sostenuto che il suo stato di salute fosse incompatibile con il carcere. E’ quindi giusto che abbia potuto trascorrere i suoi ultimi giorni a casa dove stava scontando la condanna all’ergastolo». Così Manlio Milani, presidente dell’associazione Casa della Memoria, commenta la morte di Carlo Maria Maggi, 82enne medico veneziano condannato in via definitiva all’ergastolo perché ritenuto dai giudici il mandante della strage di piazza della Loggia, l’attentato di matrice neofascista che il 28 maggio 1974 a Brescia, nel corso di una manifestazione contro il terrorismo di estrema destra, uccise 8 persone e ne ferì 102. Una delle vittime era la moglie di Manlio Milani, la 32enne insegnante Livia Bottardi. La pietà e il rispetto per la morte di Maggi lasciano però spazio a una amara riflessione da parte di Milani.
«Mi dispiace però che Maggi non abbia raccontato la verità su quella vicenda – osserva Milani, tra i fondatori della Casa della Memoria - Con lui se ne va la possibilità di fare chiarezza su tanti misteri. Per questo il cammino verso la verità su quegli anni resta ancora molto difficile». Carlo Maria Maggi, responsabile della cellula veneta di Ordine Nuovo, era membro dell’Msi da cui fu espulso a fine anni ’60 proprio per i suoi presunti legami col “terrorismo nero”, nella sua vita era stato coinvolto in tutti i grandi misteri dello stragismo neofascista. Era stato condannato a 12 anni di carcere nel processo per la strage di Peteano del 31 maggio 1972, mentre nel 1988 aveva subito una condanna a 9 anni per ricostituzione del partito fascista. Era invece stato assolto con sentenza definitiva, dopo una condanna in primo grado all’ergastolo, per la strage di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969 e per quella alla questura di Milano del 17 maggio 1973. Per la strage di piazza della Loggia era stato assolto, per insufficienza di prove, in primo grado il 16 novembre 2010 e in appello il 14 aprile 2012. La Cassazione nel 2014 aveva annullato la sentenza di secondo grado e il 22 luglio 2015 nel nuovo processo di Appello era stato condannato all’ergastolo. Nel giugno del 2017 la Cassazione aveva reso definitiva la condanna. «Purtroppo non ha mai voluto raccontare quello che avrebbe potuto dire» conclude Milani.