REDAZIONE BERGAMO

Bossetti non può essere un assassino, la cognata: Marita l’avrebbe lasciato

I difensori del muratore: "Risponderà a tutto, non vede l’ora" di GABRIELE MORONI

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Bergamo, 27 febbraio 2016 - «Massimo Bossetti non vede l’ora. Risponderà a tutto quello che gli verrà chiesto». I difensori lasciano, fiduciosi, il Palazzo di giustizia di Bergamo. L’uomo accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio inizierà ad essere ascoltato il 4 marzo, ma prima dovrà essere esaurito il controesame dei consulenti informatici dell’accusa. A una quindicina di chilometri, nella zona industriale di Chignolo d’Isola, c’è un campo oggi coltivato a granoturco. Sul limitare, un piccolo pilone è stato trasformato in un altarino dove sono stati depositati tre bandiere e una sciarpa nerazzurre, una targhetta con la scritta “I love Atalanta” e sul retro il nome di Anna Frank, un berrettino del Milan, fiori, una statuetta di Padre Pio e un’altra della “Madunina” milanese, due libri sul festival di musica metal di Wacken, statuine del prepepe, fiori, lumini, tanti peluche. Cinque anni dopo. C’erano solo sterpaglie quando, il 26 febbraio del 2011, il caso fece ritrovare il corpo della tredicenne di Brembate di Sopra, a tre mesi dalla sparizione. La breve udienza regala un altro atto della commedia umana che ruota attorno a questa tragedia orobica.

Depone Nadia Arrigoni, moglie di Agostino Comi, fratello di Marita, moglie dell’imputato. «Quella con il carattere forte in famiglia è Marita. Massimo è più dolce e affettuoso. Quando litigavano Massimo voleva fare pace subito, Marita stava un po’ più sulle sue. Con Marita mi sento più volte al giorno. Lei dopo l’arresto è andata spesso da Massimo a chiedergli conto di ogni notizia che usciva sui giornali o in tv per capire se era vero o no. Dopo i suoi “interrogatori” Marita crede a suo marito. Se non fosse stata convinta, lo avrebbe lasciato. La storia di Yara ha sconvolto anche noi, anche loro. Abitiamo in zona, abbiamo dei figli e tutti eravamo molto preoccupati per i bambini piccoli». I coniugi Bossetti vissero “un brutto periodo” quando per motivi economici furono costretti a vendere la casa.

Monica e Luisella Maggioni, testimoni per la parte civile, sono le sorelle di Massimo, collega di Bossetti in un cantiere a Palazzago. Nell’interrogatorio dell’8 luglio di due anni fa, Bossetti raccontò che soffriva di frequenti epistassi e si detergeva il naso con dei fazzolettini che poi gettava nell’immondizia. Maggioni si sarebbe potuto appropriare dei fazzoletti insanguinati e quindi anche di tracce del dna di Bossetti. Maggioni aveva denunciato. Per questo il muratore di Mapello viene giudicato anche per calunnia dell’ex compagno di lavoro. «Mio fratello - dice Monica - dopo l’accusa non dormiva più. Aveva sempre parlato bene di Bossetti, un gran lavoratore, un po’ taciturno. Eravamo assediati dai giornalisti, non potevamo più uscire di casa e abbiamo dovuto togliere i nomi dai citofoni».

Monica abita a Brembate, in via Rampinelli, la stessa della famiglia Gambirasio. «Nel 2011 - racconta - mi è venuto in mente che nel periodo settembre-novembre dell’anno prima, ogni volta che uscivo per andare a prendere uno dei miei tre figli alla stazione di Ponte San Pietro, notavo, ferma all’incrocio fra via Sala e via Morlotti, un’auto della polizia locale, con a bordo un solo agente, con baffi, pizzetto, non giovane. Dopo il fatto non l’ho più vista». La sera del 26 novembre, attorno alle 19.20, Monica Maggioni notò che in via Rampinelli, una strada piuttosto buia, si era formata una piccola coda di auto dietro una specie di station wagon che procedeva a passo d’uomo. Si trattava probabilmente della “familiare” della madre di Yara, uscita in cerca della figlia. Il difensore Claudio Salvagni parla di alcuni sms ricevuti dalla testimone che gli esponeva la sua visione sul caso. «Con la signora - dice il legale al termine dell’udienza - abbiamo avuto uno scambio di opinioni sul processo e mi ha manifestato la sua convinzione sull’estraneità di Massimo Bossetti».