Quei 41 bambini profughi salvati dal genocidio

L’adozione, l’inserimento nella comunità, gli studi, le nuove famiglie: "Ci avete evitato la morte"

È una storia di solidarietà prima, diventata poi esempio di integrazione quella dei 41 bambini e bambine, oggi uomini e donne, salvati dal genocidio del Ruanda del 1994. Ad accoglierli, 29 anni fa, fu la comunità di Castenedolo, dove arrivarono grazie ad un gruppo di bresciani che li salvò da morte certa, quando i soldati hutu bussarono alle porte dell’orfanotrofio Santa Maria a Rilima, 60 chilometri dalla capitale Kigali, sostenuto dalla Fondazione Tovini, da Medicus Mundi e dall’associazione Museke, fondata dall’imprenditrice castenedolese Enrica Lombardi. Accolti a Castenedolo, furono poi adottati da molte famiglie del paese e della provincia di Brescia, e qui sono cresciuti e sono parte della comunità. "È una gioia avervi qui", ha detto don Roberto Lombardi, nella serata organizzata venerdì sera per ascoltare il racconto dei primi tre ragazzi che, dopo quasi 30 anni, hanno trovato il coraggio di tornare nella terra in cui sono nati e in cui cui, per i primi anni, hanno vissuto. "Ma senza quei volontari non saremmo qui – ha ricordato Alexi Pasqui –. Ora ho tre famiglie: la prima che mi ha portato qui, la mia famiglia adottiva e quella che sto costruendo con mia moglie". "La mia vita è stata nelle mani di tante persone – aggiunge Barbara Savio – che mi hanno protetto e portato ad essere la persona che sono". Sara Loda aveva solo sei mesi quando fu portata in salvo in Italia e, dopo il primo viaggio di tre settimane, è pronta a tornare in Ruanda per fare volontariato. "La vita di noi 41 che siamo stati salvati è immensa: va vissuta pienamente, con coraggio".

F.P.