Caso Lombardia e zone rosse negate, ora la procura di Bergamo chiama anche Conte

I pm di Bergamo in trasferta a Roma per ascoltare il premier e i ministri Lamorgese e Speranza

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

Bergamo, 11 giugno 2020 - "Le cose che dirò al pm di Bergamo, come persona informata sui fatti, non le posso anticipare. Sono tranquillo, riferirò doverosamente tutti i fatti a mia conoscenza. Sono sereno, per niente preoccupato. Ci confronteremo e riferirò tutti i fatti di cui sono a conoscenza". Questa la reazione del premier Giuseppe Conte alla notizia che domani sarà ascoltato dai magistrati della procura di Bergamo che indagano sulla mancata istituzione di una "zona rossa" ad Alzano Lombardo e Nembro, in Valle Seriana e che ieri, guidati dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, sono arrivati a Roma per una serie di audizioni.

L’ipotesi di reato è quella di epidemia colposa e, oltre a Conte, tra oggi e domani verranno ascoltati come persone informate sui fatti anche i ministri della salute, Roberto Speranza, e dell’interno, Luciana Lamorgese, e pure Walter Ricciardi, consulente del governo per l’emergenza. È stato invece già ascoltato ieri, sempre a Roma, nella sede dell’Iss, il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro. La scorsa settimana era toccato ai vertici della Regione Lombardia, il presidente Attilio Fontana e l’assessore al Welfare, Giulio Gallera, che hanno risposto alle domande dei pm sulla mancata zona rossa scaricando la responsabilità della scelta sugli esponenti del Governo. La mancata istituzione della zona rossa è una ferita che sanguina ancora in terra bergamasca. E tra coloro che vogliono sia fatta chiarezza sulla vicenda ci sono gli esponenti del Comitato "Noi denunceremo- Verità e giustizia per le vittime del Covid-19", formato dai parenti delle vittime del coronavirus. Guidato dal commercialista Luca Fusco, che durante la pandemia ha perso il padre, il Comitato ha raccolto finora 200 denunce e ieri ne ha presentate 50 in procura a Bergamo, per quello che è stato chiamato il primo “Denuncia Day”. "Abbiamo deciso di presentare le denunce – sottolinea Fusco – perché vogliamo giustizia e verità. Troppe domande sono rimaste senza risposta, troppe responsabilità non sono state accertate. Di fronte a questo tsunami l’organizzazione sanitaria non era pronta ed è collassata. I medici sono stati lasciati soli. È stato un disastro, contiamo 16mila morti: la Regione e le istituzioni devono assumersi le proprie responsabilità. E la prima responsabilità politica è stato non aver chiuso la Valle Seriana".

Nato più di due mesi fa da un post su Facebook, ora il Comitato conta oltre 56 iscritti. Le denunce depositate ieri raccontano le storie di famiglie devastate dalla malattia. Come quella di Cristina Longhini, farmacista di Bergamo: "La mia è la storia di una figlia che ha perso il papà, Claudio Alessandro, papà sano, nonno felice. Il 2 marzo si ammala, dissenteria vomito, nausea, febbre. Mia mamma chiama il medico, ma il papà non viene ricoverato e in una settimana peggiora. Mia sorella sta male, mia mamma è sconvolta. Ci siamo sentiti abbandonati. Un altro medico visita mio padre e chiama l’ ambulanza che arriva da Monza. Mercoledì 12 marzo mi padre risulta positivo al tampone, il 18 è peggiorato. Mi hanno ridato le sue cose in un sacco di immondizia. Non l’ho più visto, solo il 23 aprile sono riuscita a tumularlo al cimitero di Bergamo, era finito a Ferrara".  .