
Processo Caffaro col freno tirato Altre due associazioni pronte a costituirsi parte civile
Non solo il Codacons. Anche Medicina Democratica e la Lega anti-caccia hanno chiesto di costituirsi parte civile nel procedimento Caffaro, la fabbrica chimica incuneata nel cuore di Brescia che da decenni sparge veleni in un raggio di oltre 22 km (dal 2002 è sito di interesse nazionale in attesa di bonifica), al centro di 2 inchieste per inquinamento e disastro ambientale. Grandi assenti il Comune e il ministero dell’Ambiente che non avranno più tempo per partecipare all’udienza preliminare in corso, ieri per la seconda volta riaggiornata (al 27 settembre) e ancora incagliata nelle questioni prodromiche. Le difese degli imputati infatti si sono opposte alle costituzioni e il giudice ha preso tempo.
Dal gup ci sono i dirigenti di Caffaro Brescia, la società che fino a autunno 2019, in concomitanza con sospensione dell’autorizzazione ambientale, ha gestito lo stabilimento, fino agli anni ‘80 produttore dei cancerogeni Pcb e negli anni seguire convertito al settore delle pastiglie di cloro. Si tratta di Antonio Todisco, Alessandro Quadrelli, Alessandro Francesconi e Vitantonio Balacco, che rispondono a vario titolo di disastro, omesso smaltimento di rifiuti pericolosi e (fatta eccezione per Balacco) inquinamento da cromo esavalente e clorato. E poi i vertici delle precedenti gestioni: i manager dell’ex Snia Marco Cappelletto e Alfiero Marinelli, presunti responsabili di inquinamento da mercurio nel sottosuolo e in falda in corrispondenza del reparto clorosoda, e di omesso smaltimento di scorie. E poi 3 manager di Csa (società incaricata di demolizioni e smantellamenti di impianti dismessi) con l’ex commissario straordinario Roberto Moreni, nei guai per non avere - stando alla Procura - gestito a dovere lo smantellamento dei reparti contaminati. L’udienza veniva già da un rinvio con tempi lunghi, per permettere a Caffaro Brescia di ultimare il potenziamento del Mise, la barriera idraulica antiveleni che pompa le acque per evitare lo spargimento di ulteriori inquinanti in falda. Un impegno assunto dall’azienda con la Procura, che in cambio dell’intervento concesse il dissequestro di 3 milioni (sugli 8 sequestrati). La nuova opera è stata praticamente realizzata ma è bloccata: per entrare in funzione servirebbe una parametrazione dei livelli del Pcb da parte dell’Istituto superiore di sanità. Ma nonostante i solleciti, tale parametrazione ancora non c’è.
Beatrice Raspa