
La piramide del Cnr sull'Everest
Bergamo, 4 novembre 2018 - Una grande piramide di vetro ai piedi dell’Everest per studiare i comportamenti del corpo umano in alta quota e la natura in condizioni estreme. Quando l’idea fece breccia anche nelle mente di un personaggio dell’Ottocento come Ardito Desio era la fine degli anni ’80, ma sembrava già roba da fantascienza. Poi venne costruita e per quasi 30 anni il celebre laboratorio a forma di piramide del Cnr ha rappresentato l’avamposto della ricerca scientifica e dell’ingegneria italiana. Soprattutto lombarda, grazie al coinvolgimento di diverse università che hanno creduto nel progetto. Ora però il suo futuro è a rischio. La sospensione dei contributi da parte del Cnr rischia di rendere precario il funzionamento della struttura. Se ne è occupata anche la celebre rivista “Nature”.
Era il 1990 quando la “piramide” prese forma a 5.050 metri di quota nella parte alta della Valle del Khumbu, ai piedi del versante nepalese dell’Everest, e da allora il polo di ricerca ha accolto centinaia di ricercatori protagonisti di studi approfonditi sulla fisiologia in alta quota, i sismi, il clima, l’inquinamento: emergenze quotidiane per chi vive in pianura. Per chi percorre a piedi tutta la valle del Khumbu, dopo giorni di fatiche, appare come un miraggio fra i detriti della morena dell’immenso ghiacciaio che scende dalla cima più alta del mondo e la vetta del Pumori che spunta alle sue spalle come fosse un prolungamento della piramide stessa. Per diverse settimane all’anno a coordinare gli “inquilini” della piramide c’è Gianpietro Verza, ricercatore e guida alpina, uno dei più profondi conoscitori dell’osservatorio scientifico d’alta quota con tutte le difficoltà che comporta una vita sopra i cinquemila metri.
«La piramide è a rischio, ma c’è uno spiraglio – rivela Agostino Da Polenza, alpinista bergamasco e da molti anni un punto di riferimento per i progetti di ricerca italiana in Himalaya e in Karakorum –. Siamo tutti d’accordo che questo progetto debba continuare a vivere e operare e che il prezioso lavoro svolto in quasi trent’anni non debba andare perso per sempre. Nel mondo della ricerca internazionale è ritenuto un patrimonio formidabile della ricerca scientifica italiana. Ma ora qualcuno deve metterci delle risorse e consentire alla struttura di non fermarsi. Non si può pensare che sia l’Associazione Ev-K2-CNR a farlo ancora. C’è in corso una negoziazione con il Cnr sul futuro della piramide e spero possa funzionare».
Con i cambiamenti climatici che creano effetti devastanti diventa ancora più fondamentale il lavoro svolto ai piedi dell’Everest. «Alla fine degli anni ’80 ci fu un grande stimolo alle rimisurazioni geodetiche dei colossi dell’Himalaya – ricorda Da Polenza –. C’erano diverse ricerche in corso. Io ero in Pakistan con il giornalista Mino Damato che disse: “Perché non costruire una tenda di vetro sotto l’Everest?”. Sembrava un azzardo, un’idea immaginifica. Ma Ardito Desio, che all’epoca aveva già qualche anno, l’appoggiò. Così nacque il laboratorio. Da allora è rimasto in funzione creando la più lunga serie di dati raccolti in tantissimi campi della ricerca scientifica». Un patrimonio che i ricercatori non vogliono che venga disperso per sempre.