LUCA BALZAROTTI
Cronaca

Lombardia sempre più vecchia: in 10 anni più pensionati di studenti e lavoratori

Nel 2022 l’Inps ha pagato 44 miliardi di pensioni, se non si inverte la tendenza la spesa non sarà più sostenibile. L’allarme della Cisl: "Subito riforme per invertire la tendenza"

Un gruppo di anziani davanti a un cantiere

Un gruppo di anziani davanti a un cantiere

Milano – Brescia è la provincia più “attiva“: 135 lavoratori ogni 100 pensionati. Precede Lodi (134), Milano (133), Bergamo e Como (122). Cremona con 109 e Sondrio con 110 quelle più vicine alla soglia critica dei 100 che indica la parità (elaborazione del “Sole“ su dati Inps e Istat).

In Lombardia il sorpasso della popolazione inattiva su quella occupata ancora non c’è stato. Ma l’attenzione è alta perché anno dopo anno la forbice si è ridotta. Bergamo, benché abbia ancora un margine rispetto alla soglia di caduta, è un caso emblematico di una regione che continua a invecchiare (2,1 miloni i pensionati su 9 milioni di abitanti).

Nel 2014, la provincia contava 450mila lavoratori attivi per 318mila pensionati (141 su 100). La carta di identità della popolazione è la cartina di tornasole: nel 2002 il rapporto tra la fascia anagrafica di cittadini “attivi“ (da 14 a 64 anni) e over 65 era di 435 su 100. Al 1° gennaio 2023 è calato a 291 ogni 100. Senza un inversione di tendenza, nei prossimi dieci anni potrebbe arrivare il sorpasso.

"Continuare a insistere nel mantenere in attività persone sopra i 65 anni non fa bene al lavoro e alla salute delle persone, mentre senza investimenti su famiglie e giovani nessuna riforma sarà in grado di reggere alla sfida con il tempo, anche molto prossimo – è l’analisi di Giacomo Meloni, segretario generale della Fnp Cisl della provincia di Bergamo – Calo delle nascite e difficoltà di reperimento della manodopera è Il ritornello che la politica mette in campo per puntare verso la riforma delle pensioni, contemplando tra le possibilità il solo innalzamento dell’età pensionabile oltre ai continui mancati adeguamenti degli assegni. Ci auguriamo che la trattativa con il governo generi una salutare inversione del trend e che si cominci a considerare famiglie e figli come punti di forza e opportunità, non come un peso, e a valutare positivamente l’apporto che l’immigrazione può dare".

Il rapporto tra chi lavora e chi ha diritto a un assegno pensionistico ha due implicazione. Sociale ma anche di sostenibilità economica. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha ripetuto più volte un numero come soglia di tranquillità: "Dobbiamo avere un rapporto di 1,5 per stare su un crinale di sostenibilità".

Invece, in mancanza di un’inversione di tendenza, tra il 2040 e il 2050, l’Italia raggiungerà la parità. Se così fosse, si creerebbe più di un problema per l’Istituto nazionale di previdenza sociale e per l’intero Paese che l’anno scorso ha dovuto fare i conti con uno scenario: le spese per le pensioni hanno superato gli incassi dei contribuiti di chi lavora.

Nel 2022 dalle casse sono usciti 231 miliardi, il 5,6% in più del 2021 (218 miliardi), mentre, in base al rapporto sulle entrate del Mef (Ministero dell’economia e delle finanze), gli incassi contributivi si sono fermati a 230,5 miliardi. A fine anno il saldo negativo potrebbe essere peggiore visto che la cifra prevista per il pagamento delle pensioni supererà i 250 miliardi nel 2023.

La Lombardia incide più di tutte sugli esborsi: 44,2 miliardi nel 2022, il 19,2% del totale nazionale. Le tre province più costose sono Milano (34,86% dell’esborso), Brescia (10,64%) e Bergamo (10,17%). Quelle che “pesano“ meno, invece, Lecco (3,69%), Cremona (3,68%), Lodi (2,13%) e Sondrio (1,68%): due delle zone più vicine al pareggio nel rapporto tra occupati e pensionati.

"Un rapporto lavoratori attivi/pensionati di questo genere pone una serie di interrogativi sulla sostenibilità del sistema pensionistico – dichiara Enzo Mesagna, segretario Cisl Lombardia con delega al mercato del lavoro – Occorre costruire un sistema in grado di riconoscere il giusto diritto ai lavoratori e alle lavoratrici di andare in pensione dopo 41 anni di servizio, ma dall’altra è necessario creare le condizioni per far sì che i giovani possano godere in futuro di una pensione dignitosa. C’è poi anche il tema di salute e sicurezza: con il progredire dell’età si va incontro ad un più alto rischio di incorrere in infortuni sul lavoro"