
Endine (Bergamo) – “Questa vicenda mi è costata". Trent’anni fa. Una serata in discoteca. L’incontro con una ragazza bella e un po’ triste. Marco Conti è l’ultimo a vedere viva Laura Bigoni, poco prima che un assassino rimasto senza nome la trucidi con nove coltellate nella casa delle vacanze, a Clusone. Ignaro e inconsapevole, del tutto estraneo al dramma, si ritrova coinvolto in una fosca pagina di cronaca, è il “biondino” della storia, anche se i suoi boccoli stirati col gel sono castani.
Non ne vorrebbe parlare, oggi. Le sue giornate sono lunghe. Ogni mattina il lavoro fuori provincia con una squadra di operai edili, il ritorno a sera. "Questa vicenda mi è costata. All’epoca avevo perso il lavoro. Mi avevano messo la casa sottosopra. Avevo sentito anche un avvocato".
"È tutto agli atti. No, non ne voglio parlare. Quello che dovevo dire l’ho detto. Ogni tanto la storia salta fuori e i giornalisti mi vengono a cercare. C’è stato uno che è stato prima condannato e poi assolto. Poveretto, non c’entrava niente".
Si prova a insistere, a chiedere cosa ricordi della sera del primo agosto del 1993. "Sono passati trent’anni. Ricordo poche cose. Ricordo vagamente anche la ragazza. Avevo vent’anni e adesso ne ho cinquanta".
Indietro nel tempo, a una pazza estate. Marco vive a Endine, fa il tornitore. Orecchini ai lobi, adesivo di Che Guevara appiccicato sul cofano della Opel Kadett, un cuore rosso sullo specchietto retrovisore. Quella sera d’inizio agosto ha appena portato a casa la morosa. È solo mezzanotte. C’è tutto il tempo per fare un salto alla discoteca “Collina Verde” di Clusone.
Nota una ragazza alta, carina, sola. Laura Bigoni ha ventitré anni. Lui le offre un’aranciata, lei ricambia con il racconto delle sue pene d’amore con il fidanzato Jimmy e della conoscenza con un altro ragazzo che però non è il suo tipo. Sono le 2.30. È iniziata la giornata di domenica. Marco accompagna Laura a casa, in via Mazzini a Clusone.
Notano una luce accesa al primo piano. Scelgono di appartarsi nella vicina pineta di Fiorine. Marco dà il suo numero di telefono. L’appunto verrà ritrovato dagli investigatori. Tornano in via Mazzini quando sono le 3.30. Laura gli indica come raggiungere l’appartamento. Le luci sono spente. Si tratta di attendere “un momentino” per poi salire e suonare. Marco torna all’auto che ha parcheggiato accanto al portone con il motore acceso. La sposta di una decina di metri. Si avvia lentamente, segue le indicazioni della nuova amica, certo di non sbagliare perché è stato attento.
"Suonavo il campanello - racconta nella prima testimonianza, nella stazione dei carabinieri di Clusone -, sentivo il suono nell’appartamento. Guardavo la porta che era composta anche di vetri e intravedevo che all’interno era accesa la luce. Suonavo solo quella volta, aspettavo qualche secondo, non sentivo alcuna risposta. Avevo anche un po’ di paura poiché non sapevo cosa c’era in casa, non conoscevo la casa e non conoscevo bene Laura e non potevo escludere che nella casa ci fosse il ragazzo o ci fossero i suoi genitori e pertanto ritornavo in strada. Giunto al cancello del cortile, c’era un signore che stava entrando che mi ha guardato, circa di 45-50 anni. Ho pensato che fosse il padre di Laura poiché mi guardò male". Decide di rincasare.
Nel verbale del 4 agosto il “biondino” aggiunge due particolari: "Presa la macchina, ho innestato la retromarcia e ho notato nello specchietto i fari di una jeep che proveniva alle mie spalle. Si tratta di una strada a senso unico. La mia attenzione è stata attirata dai fari dell’auto, ma guardando nello specchietto ho notato anche che la persona già incontrata nel cortile era venuta fino all’arco che consente l’accesso dalla strada al cortile".