Curno, omicidio di Marisa: "L'ex marito era lucido"

Secondo l’esperto l’uomo era capace di intendere e di volere quando colpì a morte Marisa e ferì la sorella Deborha

Marisa Sartori al centro, insieme alla sorella Deborha e alla madre Giusy

Marisa Sartori al centro, insieme alla sorella Deborha e alla madre Giusy

Curno (Bergamo), 11 giugno 2019 - Quando si è scagliato con il coltello da cucina contro l’ex moglie, Marisa Sartori, 25 anni, di Curno, parrucchiera, lui, Ezzedine Arjoun, 36 anni, tunisino, era capace di intendere e volere. Lo ha confermato la perizia psichiatrica a cui è stato sottoposto e depositata in procura. Quella sera, era il 2 febbraio, dopo aver sferrato i fendenti a Marisa, cinque, il più profondo al cuore, gli altri all’addome e al costato, Ezzedine aveva rivolto l’arma anche contro la sorella della vittima, Deborha, 23 anni, barista, che ne porta ancora le cicatrici. Poi, con le mani sporche di sangue, si era allontanato raggiungendo la caserma dei carabinieri di Ponte San Pietro, per costituirsi. È tuttora in carcere con l’accusa di omicidio dell’ex moglie e tentato omicidio della cognata.

La perizia era stata decisa dal pm Fabrizio Gaverini, che sin dall’inizio si è occupato della vicenda, dopo alcuni atti autolesionistici del tunisino, che nelle settimane seguenti l’arresto era stato trasportato più volte dalla cella al pronto soccorso dell’ospedale. Il magistrato ha voluto accertare lo stato della sua salute psicologica. La consulenza è stata affidata a Luca Monchieri di Brescia. Il tunisino faceva uso di droghe, in particolare cocaina, e beveva parecchio. Forse anche quella sera aveva esagerato. Ma quando ha colpito era lucido, è la conclusione cui è giunta la perizia.

«Alla stessa conclusione è arrivata la perizia del nostro consulente, il professore Massimo Biza – ha sottolineato l’avvocato Marcella Micheletti, che assiste Deborha Sartori –. Il fatto che usasse droghe o bevesse non è stata una “diminuzio” del suo stato. Quella sera era capace di intendere e volere». Il difensore di Ezzendine Arjoun, Daniela Serughetti, per ora non si sbilancia. «L’indagine non è chiusa e prima di fare un commento sull’esito della perizia aspetto che si arrivi alla conclusione». Nel frattempo prepara la strategia difensiva.

Per la conclusione delle indagini, il pm attende i risultati relativi agli accertamenti effettuati dai Ris di Parma sull’arma del delitto, un coltello da cucina ritrovato in una siepe. Dopo l’arresto Arjoun ha sostenuto che l’aggressione nel garage di casa dei genitori di Marisa e Deborha, in via IV novembre, a Curno, non era stata premeditata, ma scatenata dalla reazione furiosa a una frase della sorella di Marisa. A quel punto avrebbe recuperato il coltello scoperto poco prima nella spazzatura e infierito su Marisa. L’omicida ha sempre detto di non essere arrivato a Curno con l’arma ma di averlo trovato nel locale spazzatura del condominio.

Il gip che l’ha tenuto in carcere gli aveva mostrato la foto di quello che avevano trovato i carabinieri, bianco, con la scritta, ma lui aveva risposto che non era quello. Quello che impugnava, aveva detto Ezzedine, era più vecchio. Se ha detto la verità lo stabiliranno le analisi.