MICHELE ANDREUCCI
Cronaca

Bar di via Moroni, fu omicidio volontario. Dieci anni e otto mesi al gestore del locale

Uccise un senegalese con una coltellata al cuore. "Non volevo ammazzarlo"

I I carabinieri all’esterno del Socraf Cafè, il locale gestito DjeDje Meles Guillame, 57 anni, cittadino italiano di origini ivoriane

Bergamo, 13 gennaio 2017 - Esce dall'aula a testa bassa, in manette e accompagnato dalle guardie penitenziarie. Poi si ferma qualche minuto a scambiare due parole con il suo legale, l’avvocato Gianluca Quadri. Quindi sale sul pulmino del carcere e fa ritorno nella sua cella nella casa circondariale di Bergamo, sotto il peso di una condanna a 10 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio volontario (il pubblico ministero Fabrizio Gaverini nella sua requisitoria aveva invocato una condanna più pesante: a 15 anni).

È la sentenza emessa con il rito abbreviato (sconto di un terzo sulla pena finale) dal gup Marina Cavalleri nei confronti di DjeDje Meles Guillame, 57 anni, il cittadino italiano di origini ivoriane arrestato nella notte tra il 30 e il 31 ottobre 2015, intorno alle 2 di notte, dopo che tre ore prima, in via Moroni, vicino al locale che gestiva, il Socraf Cafè, aveva ucciso con una coltellata al cuore Amadou Pape Diouf, senegalese di 33 anni, che, secondo la versione dell’imputato, era solito spacciare all’interno del suo locale e con il quale in passato aveva già avuto diverse discussioni. Il giudice ha condannato DjeDje al pagamento di una provvisionale di 50mila euro ciascuno a favore della moglie e dei genitori della vittima e 25mila ciascuno ai due fratelli di Diouf.

L’avvocato Quadri aveva chiesto la riqualificazione dell’accusa di omicidio volontario in omicidio colposo per colpa cosciente e in subordine in legittima difesa oppure eccesso colposo di legittima difesa o in omicidio preterintenzionale. Il gup ha invece escluso, come chiesto dallo stesso pm, l’aggravante dei futili motivi, ma non ha accolto l’attenuante della provocazione (la vittima, secondo la difesa, spacciava droga nel Socraf Cafè e la sera dell’omicidio stringeva in pugno una bottiglia rotta). DjeDje ha sempre sostenuto di aver impugnato il coltello solo per difendersi dal senegalese che, dopo essere stato cacciato dal bar, con la bottiglia in mano si stava avvicinando per aggredirlo. Ne era nata una colluttazione, durante la quale Pape Diouf era stato colpito da un fendente. «Ma non volevo ucciderlo, non mi ero nemmeno accorto di averlo colpito», ha ribadito durante il processo l’imputato.

Dalle immagini delle telecamere della zona si vede genericamente la colluttazione, ma non il colpo mortale. Quindi il senegalese che si accascia e l’ivoriano che torna nel suo bar. «Il mio assistito - sottolinea l’avvocato Quadri - non credeva di averlo ucciso, tanto che era rientrato nel suo locale e non era fuggito. E’ un uomo di strutto, che in carcere è seguito da uno psicologo». DjeDje era stato arrestato dai carabinieri a casa della fidanzata, in via Pignolo: addosso aveva la felpa sporca di sangue e nella lavatrice erano stati trovati i pantaloni che indossava al momento dell’aggressione, anch’essi macchiati di sangue.