Bergamo, mercante d’arte a processo: quattro milioni per mettersi in regola. Ma non basta

Battute finali per la requisitoria della Procura al processo che vede imputato il manager Cerea

"Il Bacio" di Hayez

"Il Bacio" di Hayez

Bergamo -  «Fino a quando non si è alzato il coperchio dal vaso di Pandora, tutto è andato bene. Ma una volta aperto è venuta fuori la sua vera natura, quella di un evasore seriale, sfrontato, che ha dichiarato meno di un operaio: e tutto ciò stride con la sua condotta di vita». Siamo alle battute finali della requisitoria nel processo a carico di Gianfranco Cerea, 59 anni, manager con la passione per l’arte, finito in Tribunale perché con la voluntary disclosure il manager ha pagato 4 milioni in sanzioni ma non ha evitato i guai: è imputato di false dichiarazioni nella relazione di accompagnamento alla procedura. Gli viene contestato di essersi spacciato per collezionista d’arte (parliamo di opere per un valore di centinaia di milioni) mentre era commerciante d’arte, risparmiando i due milioni che avrebbe dovuto pagare per il surplus da reddito di impresa. Il pm Emanuele Marchisio alla fine ha chiesto la condanna per Cerea: 5 anni e 6 mesi e la confisca di 2 milioni e 128.608 euro. 

Venerdì prossimo le repliche dei difensori del manager (avvocato Enrico Mastropietro). Nella sua requisitoria, il pubblico ministero ha ripercorso le tappe di questa indagine partita «grazie all’intuizione del compianto procuratore Walter Mapelli – ha sottolineato Marchisio – Sollevato il vaso di Pandora sono emerse le condotte di Cerea (siamo nel periodo che va dal 2009 fino al 2015, ) e il suo profilo di falsità. Le sue società sono scatole vuote. Un comportamento, quello tenuto dall’imputato, arrogante. Si è sottratto all’interrogatorio, ha chiesto di andare a dibattimento, e si è presentato in aula solo poche volte». 

E poi c’è tutta la parte che riguarda Cristina Caleffi, imprenditrice di Novara (è sposata con l’infettivologo Andrea Gori, fratello del sindaco di Bergamo): era coindagata per riciclaggio per l’acquisto di alcune opere e ora, archiviata, è testimone al processo a carico di Cerea, che ha denunciato. Ma questo è un altro procedimento. La Caleffi voleva investire, lo fece in quadri a partire da prima del 2008.  A Cerea aveva affidato un patrimonio di 100 milioni che l’imputato aveva utilizzato per allestire in un capannone di proprietà della Caleffi, nell’estate del 2015, un museo dell’arte. A dicembre 2015 ci fu la compravendita di opere per 16 milioni, poi per 11,13 milioni. Quando l’imprenditrice si è affidata ad altri consulenti per valutare le opere del museo e quelle in un’altra sua proprietà, comprate per 28 milioni, gli esperti le hanno detto che valgono rispettivamente «20 milioni e 6 milioni». Andava fiera dei due Canaletto appesi alle pareti. Uno, comprato da Cerea per 80 mila euro e rivenduto alla Caleffi a più di 2 milioni; l’altro, comprato per 1,100 milioni, è stato venduto a 7 milioni.