MICHELE ANDREUCCI e FEDERICA PACELLA
Cronaca

Le sirene, le bare, il silenzio: i mesi più bui di Bergamo e Brescia

Travolte dalla prima ondata, pagano al Covid il prezzo più alto. Ma esplodono anche donazioni e volontariato

Le bare accatastate nella chiesa di San Giuseppe a Seriate

Le bare accatastate nella chiesa di San Giuseppe a Seriate

Bergamo e Brescia, 31 dicembre 2020 - La lunga quarantena a Bergamo e nei paesi della provincia, con il silenzio rotto solamente dal suono delle sirene delle ambulanze. La mancata istituzione della zona rossa in media Valle Seriana, le morti nelle Rsa, gli ospedali trasformati in obitori di fortuna, la realizzazione a tempo di record del presidio medico avanzato alla Fiera di Bergamo (grazie agli Alpini e a numerosi volontari), la lunga fila di camion militari che trasferiscono le bare dei morti fuori Bergamo per la cremazione, il tracollo industriale, il lavori di medici e infermieri decimati, la riconversione di numerose imprese per produrre i dispositivi di sicurezza. Infine, il 28 giugno, la visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Bergamo per presenziare, al cimitero Monumentale alla Messa da Requiem in onore delle vittime.

Sono le drammatiche immagini che rimarranno impresse nella mente dei bergamaschi quando il loro pensiero tornerà al 2020, l’annus horribilis del Covid, che nella provincia orobica ha picchiato duro provocando oltre 6mila morti, di cui circa 3.300 a Bergamo. Decessi sui quali indaga ora la Procura della Repubblica di Piazza Dante. Il dramma della ricca provincia bergamasca inizia il 23 febbraio, quando all’ospedale di Alzano Lombardo, in media Valle Seriana (che sarà la zona più colpita dalla violenza del virus), viene accertato il primo caso di Covid. Il pronto soccorso del nosocomio, però rimane chiuso solo due ore, poi riapre e la pandemia comincia a espandersi. Da lì per la provincia orobica inizia un terribile calvario, culminato con la “reclusione” in casa dei cittadini per oltre due mesi. Nel frattempo nasce il comitato Noi Denunceremo, composto dai parenti delle vittime del Covid, che presenta oltre 200 denunce alla Procura della Repubblica di Bergamo per chiedere che vengano accertate eventuali responsabilità e omissioni nella gestione della pandemia. Secondo il comitato, la chiusura di Alzano e Nembro avrebbe prevenuto il lockdown e quindi le gravissime conseguenze economiche e sociali di cui solo ora si iniziano a vedere i devastanti effetti. Nembro è il centro che paga il conto più salato, con un aumento della mortalità dell’850% nel marzo scorso: muoiono così tante persone che il parroco del paese ordina di smettere di suonare le campane a morto, il cui suono è incessante.

Un copione molto simile anche nel Bresciano. Il 24 febbraio, il primo lunedì di chiusura delle scuole in Lombardia, Brescia scopre che il virus non è più solo un problema del Lodigiano e del Cremonese. Riecheggia la notizia di un 51enne di Pontevico, ricoverato al Civile, risultato positivo al nuovo coronavirus. Seguono giorni concitati, in cui al crescere dei contagi (inizialmente rallentato dalla scarsa disponibilità di reagenti per i tamponi), si susseguono riunioni tra Prefettura, Ats, Comuni, Provincia, per salvare la tenuta del sistema sanitario senza sacrificare il lavoro. Poi i numeri iniziano a crescere più rapidamente insieme ai decessi, fino a trasformarsi in una valanga che travolge gli ospedali: gli Spedali Civili hanno il triste primato europeo di oltre 900 ricoverati in un giorno per Covid. Smart-working e didattica a distanza entrano nella quotidianità dei bresciani, mentre sulle città cala il silenzio, interrotto solo dal suono delle ambulanze. Giorni bui illuminati dalla solidarietà: dai 16 milioni raccolti in un mese da #Aiutiamo Brescia per il sistema sanitario, al Fondo Sostieni Brescia (tra i promotori, Ambra Angiolini) fino all’esercito dei volontari che consentono di portare spesa e farmaci a domicilio. Nel caos della prima ondata, da Brescia arriva anche l’invenzione che ha salvato molte vite, la maschera da snorkeling trasformata in respiratore da Cristian Fracassi e dal team Isinnova. La tregua estiva dà il tempo agli ospedali di riorganizzarsi, per affrontare la seconda ondata. Ora ci si prepara forse alla terza, con la speranza che sia l’ultima, grazie ai vaccini, e con la consapevolezza di dover rimettere in sesto il sistema economico, per mantenere la coesione sociale. In attesa di un memoriale per ricordare le 3mila persone, sui 40mila contagiati, che non ce l’hanno fatta.