REDAZIONE BERGAMO

Addio al parricida suicida in carcere Il dolore ha riunito due comunità

A una settimana dall’omicidio di Umberto Gaibotti, i funerali del figlio Federico

Addio al parricida suicida in carcere Il dolore ha riunito due comunità

Dolore. Il sentimento che ha riunito di nuovo le comunità di Cavernago e Seriate, ancora scosse a una settimana esatta dalle esequie di Umberto Gaibotti, 64 anni, ucciso il 4 agosto a coltellate nel giardino della villetta di via Verdi, dal figlio Federico, 30 anni.

Ieri mattina alle 10, nella parrocchiale di Seriate, si sono svolti funerali di Federico, una vita breve segnata dalla droga. Finito in carcere per l’omicidio del padre, il 30enne giovedì 11 agosto ha deciso di farla finita e ha messo in atto il tragico gesto, portando a termine il "suo piano". È stato tutto veloce, senza che l’altro detenuto che era in cella con lui se ne accorgesse, e nemmeno la polizia penitenziaria. Una fine annunciata. È stato scelto Seriate, perché qui vivono la mamma e il fratello più grande di Federico (i suoi genitori erano separati). "Solo il Signore vede nel cuore delle persone", una frase estrapolata dall’omelia. In chiesa si percepisce la commozione che ha coinvolto le due comunità che sono tornate a stringersi nel dolore e nel silenzio. Una tragedia nella tragedia. Così come ai funerali di Umberto Gaibotti (erano presenti circa mille persone per l’addio) anche ieri tanta gente ha voluto tributare l’ultimo saluto a Federico. Ricordando anche il papà Umberto. C’è chi si asciuga le lacrime, chi abbassa il capo ed entra in chiesa. Solo silenzio in segno di rispetto e vicinanza. Una fine annunciata quella di Federico. Dopo l’interrogatorio davanti al gip (dove aveva confessato l’omicidio del padre ricostruendo con lucidità i passaggi) Federico era stata accompagnato al Pronto soccorso del Papa Giovanni per un approfondimento psichiatrico (alla luce delle sue intenzione che aveva manifestato anche al papà).

Era stato poi trasferito nella camera blindata, come previsto in caso di ricovero di pazienti con restrizione della libertà, e durante la permanenza in Psichiatria gli era stata imposta una terapia farmacologica, terapia di cui aveva bisogno e che avrebbe dovuto seguire in carcere. Ma non c’è stato tempo. Federico era stato inserito in una cella con un detenuto protetto, il primo che si è allarmato quando non lo ha visto tornare dal bagno. F.D.