La 'ndrangheta nel bar della Provincia: esposto in Prefettura e Procura

Sotto l'occhio la moglie del boss Candeloro Pio

Monza, la sede della provincia in via Grigna

Monza, la sede della provincia in via Grigna

Monza, 9 febbraio 2017 - La moglie di un boss della ’ndrangheta lavora (e gestisce?) il bar della Provincia di Monza e Brianza. E dietro la società per la quale lavora, una cooperativa sociale che ha ottenuto l’appalto del servizio nel 2015, c’è un altro personaggio che ha avuto problemi con la giustizia, visto che è stato condannato - in primo grado e in appello - per associazione a delinquere e truffa ai danni di enti previdenziali. Possibile? Sembrerebbe di sì e succede appunto oggi nell’Ente forse più sfortunato che la Brianza ricordi negli ultimi anni: nato nel 2004, formato nel 2009, pluri inquisito nei suoi vertici, cancellato da una Riforma dello Stato e oggi diventato ente di secondo livello dopo appena 5 anni di vita tormentata.

Il caso sta fervendo innanzitutto all’interno della stesso organismo di via Grigna 13, anche se finora nulla o quasi è trapelato fuori da quelle pareti. Resta il fatto che la situazione è stata posta di recente sotto forma di esposto da parte di uffici delle forze dell’ordine a Prefettura, Procura di Monza e la stessa Provincia. Saranno loro a dover prendere posizione rispetto a tematiche delicate come certificati e misure antimafia e l’affidamento di appalti e servizi pubblici a persone prive di requisiti morali e di onorabilità.

Il problema sta nel fatto che il servizio di bar e ristorazione all’interno della sede ufficiale della Provincia - e pure quello di fornitura e rifornimento dei distributori automatici di bevande e generi alimentari nella sede istituzionale e in quelle distaccate dell’Ente - è stato affidato dopo concorso alla Cooperativa Mar Multiservizi.

Una cooperativa sociale di Varese reppresentata da una persona assolutamente “pulita”, anche se «il bar è di fatto gestito - dice l’esposto - da S. S.», moglie di quel Candeloro Pio da Melito Porto Salvo arrestato dopo l’inchiesta Infinito nel 2010 e condannato in via definitiva a 20 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso, visto che secondo inquirenti e pubblica accusa svolgeva il ruolo di capo società all’interno della ’ndrina di Desio. La considerazione indicata nell’esposto è chiara: pur assunta come dipendente della Cooperativa, la signora S. di fatto «non appare sullo stesso piano degli altri dipendenti». «Sempre presente nel bar» della Provincia, si occupa della sua gestione ed «effettua operazioni in cassa» che andrebbero al di là della semplice battitura di scontrini.

Non è finita qui. La gestione del bar-ristorante e delle macchinette «avviene sotto le direttive impartite» dal condannato Quintino Magarò, spesso presente a controllare l’andamento del bar come specificato dalla stessa convenzione firmata nel 2015: «ogni rapporto intercorrente tra la Cooperativa Sociale e la Provincia... sarà tenuto dal signor Quintino Magarò e, per quanto riguarda gli inserimenti lavorativi delle persone svantaggiate, dallo stesso Magarò quale responsabile sociale degli inserimenti».