Kaiseki, quando il rap di Milano incontra la cucina giapponese. Ecco il nuovo album di Warez

Nove tracce dal sound squisitamente urban associate a delle portate tipiche della cucina Kaiseki in cui la perizia di suoni e parole ne ricalcano la particolare filosofia di Francesca Nera

Davide Lombardi "Warez", rapper milanese (Foto Flavio Moriniello)

Davide Lombardi "Warez", rapper milanese (Foto Flavio Moriniello)

Milano, 24 giugno 2015 - La fame vien mangiando. Non c’è detto più largamente condiviso. Ma se al buon cibo si combina della buona musica il binomio è più che mai una delizia. Forse un giorno conieranno un detto anche per questo. Nel frattempo Davide Lombardi, per tutti Warez, si è messo al lavoro. Il giovane artista milanese (con una passione sfrenata per la cultura nipponica) ha infatti concepito un album in cui rap e cucina giapponese fanno comunella. E il risultato è davvero sorprendente. Nove tracce dal sound squisitamente urban associate a delle portate tipiche della cucina Kaiseki in cui la perizia di suoni e parole ne ricalcano la particolare filosofia. E l’operazione è riuscita al punto da ingolosire persino lo staff di Poporoya, storico Sushi Ya milanese, che ha deciso di supportare il rapper pubblicando sul proprio sito una versione in free download dell’album “Kaiseki” e che, domani (giovedì 25 giugno) omaggerà i suoi clienti della copia fisica. Per capirne di più abbiamo chiesto a Warez gli ingredienti del successo del suo “Kaiseki”.

Cosa significa esattamente “Kaiseki”? “La dicitura corretta sarebbe ‘Kaiseki ryori’. Letteralmente significa ‘pietra nel petto’. Si tratta di un’antica pratica zen per cui si mettevano delle pietre sullo stomaco per placare la fame. Oggi con questa dicitura si fa riferimento invece all’alta cucina giapponese.  Si tratta di un tipo di cucina particolarmente elitaria in cui i piatti vengono preparati in maniera meticolosa, quasi maniacale. Ogni ingrediente ha un legame ciclico con i mesi dell’anno e viene persino associato a dei fiori o a dei colori specifici”.

Kaiseki, il nuovo album del rapper milanese WarezCome mai questo titolo per il tuo album? “Nel periodo in cui stavo lavorando alla realizzazione del disco ho scoperto questo tipo di cucina e mi sono accorto di come il mio approccio alla musica fosse esattamente come quello di un cuoco Kaiseki con il cibo. Proprio come le sue pietanze i miei testi sono frutto di uno studio meticoloso, quasi maniacale. Attentissimo a ogni singola parola. Direi che il mio modo di essere rientra perfettamente in questo tipo di filosofia”.

Come nasce questa grande passione per la cultura giapponese? “Ne sono affascinato da sempre. Iniziai da bambino con il karate e le arti marziali per poi cominciare a studiare la cucina e approfondire gli altri aspetti legati alla cultura”.

Dunque la tua collaborazione con il più prestigioso Sushi Ya giapponese di Milano dev’essere una bella soddisfazione? “Certamente. E’ la certificazione ufficiale di come il mio ‘prodotto’ venga apprezzato dalla stessa cultura giapponese. Lo chef Shiro arrivò a Roma negli anni Settanta e nel 1977 decise di aprire a Milano ‘Poporoya’, il primo ristorante giapponese di questo genere in Italia che ancora oggi, in città, è il più rinomato. L’intero staff mi ha affiancato in moltissimi aspetti del mio lavoro, a cominciare dai sottotitoli delle canzoni che si riferiscono proprio a tipiche pietanze della cucina kaiseki: partendo dall'Intro (Sakizuke - Antipasto) fino ad arrivare all'Outro (Mizumono - Dessert di stagione) in modo che ascoltando l’album si abbia la sensazione di consumare un pasto completo. Per la riuscita del disco devo ringraziare anche Augustea, il gruppo di lavoro che mi ha supportato moltissimo in sotto vari profili”.

E a livello di suoni? Le tracce hanno un sound squisitamente rap… “Per quanto riguarda i beat ho scelto di affidarmi ad un unico produttore: Zesta. Lui è molto legato al suono classico e anche questo - inteso come rispetto della tradizione - si ricollega perfettamente alla filosofia Kaiseki”.

I testi invece non hanno molto a che fare con la cucina nipponica. Come mai? “Io faccio rap. Non volevo ricreare un corso di cucina in musica. Ho scelto di affrontare temi che conosco, di parlare di quello che vivo tutti i giorni…”

E al rap come ti sei avvicinato? “Inizialmente mi sono approcciato al breaking per poi dedicarmi al writing. Io sono cresciuto nella zona di Labrate-Città Studi che a Milano è un po’ la patria del graffitismo e questo mi ha stimolato moltissimo a livello artistico. Da lì è arrivato anche il rap”.

Com’è cambiata la Milano del rap rispetto ad allora? “A quei tempi c’era una maggiore convinzione e tutti eravamo animati da un grandissimo senso di appartenenza e aggregazione. Gli ambienti erano molto più circoscritti, tutto era delineato con precisione. Si respirava ‘un’aria vera’. Oggi poi situazioni come quelle della jam session sono praticamente estinte”.

Ora stai lavorando a un nuovo progetto molto diverso da Kaiseki. Di cosa si tratta? “Si tratta proprio di qualcosa di diverso. Un progetto con il quale vorrei sottolineare la fine di un ciclo e, contemporaneamente, l’inizio di un altro: sia sotto il profilo stilistico che dei contenuti. Con delle sonorità che virano rispetto a quelle rap classiche. L’approccio sarà molto più ‘strafottente’ e poco ‘politically correct’. Ci saranno sicuramente meno parole per essere più chiaro nei messaggi e arrivare a un pubblico più ampio, senza per questo snaturare la mia essenza. Ci sarà spazio per la sperimentazione verbale ma anche per quella strumentale e diverse collaborazioni”.

francesca.nera@ilgiorno.net

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