Utero in affitto, una coppia assolta grazie a una sentenza dell’Europa

«Il fatto non sussiste». Era accusata di aver alterato l’atto di nascita di Marinella Rossi

Assolta una coppia di milanesi che si è affidata all’eterologa

Assolta una coppia di milanesi che si è affidata all’eterologa

Milano, 25 marzo 2015 - Due bimbe gemelle di quasi quattro anni. Nate a Kiev nel 2011, vivono, da subito dopo la nascita, in un comune dell’hinterland di Milano. Il padre, un impiegato, la madre è madre a tempo pieno. Padre e madre erano a giudizio per alterazione di stato, la falsa trascrizione dell’atto di nascita, un reato punito duramente - da 5 a 15 anni di reclusione - e quasi di default contestato a quelle coppie che, sterili per parte di madre (nella stragrande maggioranza) dopo una via crucis di tentativi, e dopo essersi scontrati sugli impervi muri delle adozioni, intorno ai 40 anni accedono alla fecondazione assistita di tipo eterologo con maternità surrogata, detta utero in affitto. Come ultima spiaggia. Questa coppia, da Kiev, in Ucraina, dove la legge consente la maternità surrogata, passando per il rientro a Milano nell’ambasciata italiana, si è imbattuta nelle quasi inevitabile registrazione dell’anomalia e segnalazione alla Procura competente. Quindi all’inevitabile iscrizione nel registro degli indagati, visto che per la legge italiana è madre solo colei che partorisce un bambino, e il padre, anche se ha donato il seme, resta padre, ma concorre nel reato commesso dalla donna.

Quel reato però ieri è stato cancellato dalla quinta sezione penale, presidente Annamaria Gatto, che ha assolto la coppia con la formula del «fatto non sussiste». E ciò non in virtù di una legge italiana, ma grazie alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Come spiega l’avvocato della coppia, Ezio Menzione, esperto della delicata materia giuridica legata alla fecondazione assistita, l’assoluzione dovrebbe basarsi su fondamenta sicure, date «dalla pronuncia del giugno scorso della Corte europea che, valutando due casi avvenuti in Francia, ha stabilito due principi: ogni Paese ha il sovrano diritto di normare la maternità surrogata ma, una volta nato, il bimbo ha a sua volta il diritto di essere trascritto come figlio dei genitori surrogati. Non c’è dunque alterazione di stato né falso nelle dichiarazioni».

La donna, come imputata, ha raccontato piangendo al tribunale la sua storia: la scoperta della sterilità, i tentativi, le difficoltà immani delle adozioni (nazionali, impossibili, internazionali, con attese di 5 o 6 anni per portare a una coppia ormai cinquantenne un figlio adottivo già grandicello), e quindi il ricorso all’utero in affitto. Il seme del marito, gli ovuli donati (a pagamento) da una donna, in questo caso ucraina, gli embrioni immessi nell’utero di un’altra che portò avanti la gravidanza fino al compimento (per evitare la connessione genetica fra surrogata e donatrice dell’ovulo col nascituro ed evitare una possibile e futura rivendicazione di genitorialità da parte della donatrice). Lo stesso pubblico ministero Luisa Baima Bollone aveva chiesto l’assoluzione della coppia, ma insieme alla trasmissione degli atti al pm per gli affari civili della Procura per «l’eventuale annullamento della trascrizione dell’atto di nascita» ucraino in Italia. Il collegio, nell’assolvere, non ha disposto la trasmissione di atti.

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