Le 50 sfumature di Milano. La amo per la luce d’ottobre e i suoi abitanti navigatori

Il cubano Prieto Pérez, da modello a scrittore: "Milano per me è la città del sentire, una città che poggia sull'acqua. Gli uomini e le donne di questa città sono navigatori. Sanno entrare in contatto, ma per me restano indecifrabili. Si abbandonano poco» di Massimiliano Chiavarone

Prieto Perez

Prieto Perez

Milano, 15 febbraio 2015 - «Milano è una città che ti fa fermare. Per me è come un polo di attrazione, una calamita». Lo racconta lo scrittore Armando Prieto Pérez.

Cominciamo col dire che lei è cubano di origine e vive da circa 15 anni a Milano. «Sono arrivato qui nel 1999, invitato da mia sorella Leyanì che era una top model. E ho cominciato anche io come modello per spot pubblicitari e cataloghi. A Cuba facevo il pittore e il tatuatore».

Una bella differenza con la sua isola? «Sì, all’inizio mi aveva scioccato. Non mi piaceva il cielo. E invece sono rimasto colpito dalla sua luce. In particolare quella di ottobre. In questo mese Milano diventa bellissima, sembra quasi giorgionesca. È permeata da una luce dorata. È uno spreco fare qualsiasi cosa in queste giornate, bisogna fermarsi e contemplare. Poi la Milano notturna è imbattibile, ha una luce unica. L’umidità dell’aria crea un alone fosforescente attorno a cose e persone. Le prospettive si addolciscono come nelle tele di Boltraffio e Luini».

Ha studiato arte? «Sì, all’Accademia San Alejandro a Cuba. Ho lasciato l’isola per la mancanza di prospettive causate dall’abbinamento di embargo e regime. La mia abilità nel disegno mi è servita per trovare lavoro a Milano come storyboarder, cioè dovevo disegnare le sequenze degli spot pubblicitari. Un lavoro massacrante, senza orari che ho fatto per circa dieci anni. Nel frattempo ho firmato la regia di un documentario sulla prostituzione “Eva affittasi” prodotto, tra gli altri, dal regista Carlos Sigon. A Milano vivevo in via Previati, nella zona della vecchia Fiera. Intanto giravo anche l’Italia con un teatro di burattini e per due anni ho lasciato Milano per seguire dei corsi di meditazione secondo l’insegnamento di Osho. Poi ho cominciato a fare l’operatore olistico e l’ipnologo, dando sfogo alla mia passione per i tarocchi e l’invisibile».

Ma intanto arriva la scrittura, con il suo primo romanzo “Tutte le volte che vuoi” (Rizzoli), salutato come la versione maschile di “50 sfumature di grigio”. Lei di fatto racconta la sua vita a Milano e le sue tante passioni milanesi, ma poi incontra l’amore. «Il romanzo è per circa l’80% la mia autobiografia milanese, non per niente il protagonista, Luis, è un artista che ha un atelier sui Navigli, proprio come me. La proposta di scrivere mi è arrivata durante una cena a casa di amici a cui partecipava anche Michele Rossi, editor della narrativa italiana della Rizzoli. Durante quella serata avevo raccontato le mie avventure milanesi e lui mi ha spronato a metterle per iscritto. Nel libro ho relazioni con donne come Eva, quella di cui mi innamoro. E quando mi succede mi annullo, come se mi immergessi in uno specchio d’acqua. Quello che racconto nel romanzo è paragonabile all’attrazione irresistibile che esercita Milano su di me: questa città, che per gli altri è sinonimo di conquiste e affermazione, per me è la città del sentire».

Cosa intende? «Milano poggia sulle acque. Il suo sottosuolo è attraversato da fiumi e canali. Gli uomini e le donne di questa città sono navigatori, seguono le onde, sono portati a riflettere, a pensare. Sanno entrare in contatto, ma per me restano indecifrabili. Nel senso che spesso devono mettere il piacere in agenda. Cioè tendono a pianificare tutto, anche le cose che sono più naturali e istintive. Si abbandonano poco». 

La strada di Milano che le sembra racchiuda il senso del suo rapporto con questa città? «La via Argelati. Si trova tra il Naviglio Grande e Romolo. È una delle vie più strane di Milano. Credo che sia l’unica che a un certo punto gira ad angolo retto mantenendo lo stesso nome. In quella parte della strada che sembra stare in mezzo al nulla, circondata dalla campagna, ho il mio quartier generale. Nel passato, tra ‘700 e ‘800, c’erano le risaie. Il mio studio sembra trovarsi in un viottolo di campagna che poi continua fino ad arrivare al Naviglio, con antichi palazzi che si affacciano sull’acqua. Simbolicamente rivedo la rappresentazione della mia vita, tra bruschi cambiamenti di direzione e il raggiungimento di una stabilità, con la mia attuale compagna e nostra figlia Venere di un anno e mezzo».

Spera di ricavarci un film dal suo libro? La pellicola tratta dal romanzo di E.  L. James è appena uscita in Italia. «Sì, in realtà sarebbe un mezzo per girare un film su Milano. Per raccontare la magia nascosta di questa città, della sua sensualità accennata ma che poi ti travolge e ti fa perdere il controllo». mchiavarone@yahoo.it

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