Tutti più macroniani di Macron. Ma Renzi c’è, ed è ancora in gioco

A Milano si riuniscono i seguaci del leader francese: utopie e speranze

Emmanuel Macron

Emmanuel Macron

Milano, 1 giugno 2017 - Fenomeno Macron. A Milano si riuniscono i seguaci del giovanissimo neoeletto presidente della Francia, i marcheurs et le marcheuses d’Italie, cioè i militanti di En marche!, il movimento creato appena un anno fa. Sono giovani e meno giovani, francesi o francoitaliani, studenti bocconiani o funzionari d’azienda, piccoli imprenditori, imprenditrici e commercianti, artisti con doppia nazionalità conquistati dal messaggio di rinnovamento che Macron ha ispirato e soprattutto dal sogno di rifondare l’Europa, liberandola dalle incrostazioni burocratiche e dai nazionalismi che l’hanno paralizzata e screditata.

Incontro la segretaria del movimento, Emmanuelle Desmazure, entusiasta e neofita che si è battuta sino all’ultimo voto preoccupatissima degli impacci del consolato con il voto postale, perché quest’anno il voto elettronico è stato sospeso a causa degli hacker russi schierati per la Le Pen. La rivedo dopo la vittoria a un circolo Pd che, guarda le coincidenze, si chiama della Pallacorda, come la storica sala sportiva in cui si riunirono e giurarono gli antesignani della rivoluzione. Presentiamo il libro di Monsieur le président, s’intitola, ‘Revolution’. La sua rivoluzione Macron l’ha fatta con l’audacia di rompere tutti gli schemi e superare lo storico clivage tra destra e sinistra, i vecchi partiti, il vetusto sistema politico. Il libro è ben scritto e zeppo di buone idee e buone proposte di riforma per liberare la Francia da trent’anni di stagnazione economica, da un sistema politico imputridito, dai blocchi sindacali, corporativi e dal centralismo statale. Parla Florence Drory, candidata macroniana alle parlamentari dell’11 giugno nel collegio estero di cui l’Italia fa parte con la Grecia, Israele e la Turchia. Ha un passato socialista ma se n’è separata per aderire a En marche!. Quelli del Pd che intervengono, a parte la sobria Lia Quartapelle, sembrano più macroniani di Macron. Si annettono il successo nella speranza di replicarlo.

Per amor di dialettica obbietto che Macron non è socialista ma liberale, e che per lui il liberalismo è di sinistra. Ricordo i precedenti liberal socialisti di Keynes, di Beveridge, di Carlo Rosselli e – in Italia - appena una generazione fa, di Craxi, poi di Blair e di Schroeder. Stelle e meteore che hanno illuminato la storia europea. Anche quella di Macron è una terza via e non a caso in Italia come in Francia piace anche alla destra liberale che vorrebbe clonarlo. A battezzare “il Macron italiano” dopo l’ovazione tributatagli dall’assemblea di Confindustria è stato Fedele Confalonieri. L’eterno braccio destro di Silvio con il suo fiuto ha dato voce al pensiero di quel pezzo di classe dirigente che da tempo ha adottato Carlo Calenda. Esponente dell’organizzazione imprenditoriale, ministro in carica per lo sviluppo economico con Macron Calenda ha in comune l’età, la preparazione economica e gli studi umanistici. Per il resto nulla lo avvicina al presidente francese, alla sua rapida ascesa e alla roboante vittoria del 7 di maggio. Il contesto italiano è talmente diverso rispetto a quello francese che ogni analogia risuona fuorviante. L’Italia non ha una costituzione presidenziale e la partita del potere pur condizionata dal voto si giocherà nella ricerca di un compromesso parlamentare dopo un’elezione di stampo proporzionale. È vero che c’è chi pensa e già si spende per un accordo tra il Partito Democratico e Forza Italia - un governo bisognerà pur farlo - e che al quel punto Berlusconi potrebbe far pesare i suoi voti e le sue preferenze. Ma Matteo Renzi che prima l’ha voluto ministro del suo governo e poi l’ha preso in uggia per eccesso di indipendenza non sarà l’Hollande di Calenda. Se il Pd sarà il primo partito difficilmente il suo segretario perderà lo scettro del comando e se non dovesse succedere a se stesso sceglierà il suo successore. Come ha fatto con Gentiloni. Nonostante le vistose ammaccature Renzi è in gioco e, per ora, malgrado tutte le differenze, il Macron in salsa italiana è lui. Domani chissà, forse toccherà a Mario Draghi che di Macron potrebbe essere padre.

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