
La mitica Rosetta nel suo bar
Milano, 13 gennaio 2017 - Se ne sta nel suo cantuccio, mani al caldo sulla stufa ("Ora è a gas, un tempo era a carbone") come una nonna qualsiasi. Ma ogni volta che la porta si spalanca drizza le orecchie. "Desidera?", dice affacciandosi verso l’ingresso, oltre il bancone. Se il cliente di turno è un "forestiero", cioè non di Affori, può restare un po’ spaesato. Ma se è un habituè sa che è tutto normale. Anzi, c’è da scommetterci che quell’accoglienza sia uno dei motivi per cui sceglie di varcare quella porta a vetri, risalente al 1933, e di calpestare quel pavimento con puntini e ghirigori d’altri tempi. Non è come una nonna qualsiasi, la signora Rosetta Bernasconi, 93 anni.
È l’anima del bar-tabacchi di via Bellerio all’angolo con via Regaldi nel cuore di Affori. Proprietaria e unica lavoratrice. Ogni volta che si alza a preparare un caffè o a porgere un pacchetto di sigarette sembra quasi che sia sul punto di spezzarsi, tanto è minuta. Movimenti lenti ma occhi sempre vigili. Il tempo si è divertito a lasciare tutto così com’era dieci, venti, trenta, cinquanta, ottant’anni fa. «Ho cambiato solo i mobili», racconta la signora. Non proprio moderni, essendo degli anni Sessanta.
Ha raccolto il testimone dal papà Giuseppe, che nel 1921 ha aperto il primo bar-trattoria in via Regaldi dopo essere arrivato a Milano dalla provincia di Como e poi nel 1933 ha trasferito l’attività qualche metro più in là, dove si trova tuttora. Nel locale c’è una foto di allora, che ritrae la signora Rosetta sull’uscio insieme al suo papà. "Avevo 10 anni", racconta. Il suo sogno era fare la sarta "e sono riuscita a realizzarlo", continua.
"Per 20 anni sono stata sarta, ho lavorato in un laboratorio di piazza Duomo tra il 1940 e il 1960. Poi il papà si è ammalato e ho dovuto prendere il suo posto nel bar-tabaccheria, insieme alla mamma Maria". Da allora non ha più lasciato quel posto. Non si è mai sposata, non ha avuto figli, ma è stata adottata dal quartiere. Solleva la saracinesca alle 8 e la abbassa alle 19 "facendomi aiutare da qualche cliente perché non ho più la forza". Ma è lei a decidere chi far sedere ai tavolini: "Ci sono delle brutte facce, non faccio mica accomodare tutti", precisa. Un tavolino è pieno di fiori e piante, "tutti regali dei clienti affezionati, me li hanno portati a Natale e per il mio compleanno!".
E' nata il 3 dicembre del 1923, quando ancora Affori era un Comune a sé. "Sulla carta d’identità – spiega la signora – c’è scritto che sono nata ad Affori". Adesso, però, è pronta a lasciare il testimone: «Io andrò via, è ora che mi riposi. Ma c’è già qualcuno pronto ad aprire un nuovo locale", rivela. L’ultima cosa che vorrebbe è comparire su un giornale: "Non vorrei che la gente pensasse che mi faccio pubblicità". Ma insisitiamo. Perché questo è un pezzo di Affori che non merita di scomparire senza lasciare traccia.