Cocco, Trottalemme e il mondo surreale del grande Jacovitti

Geniale, dal primo numero a oggi

Benito Jacovitti al lavoro dalla sua matita sono nate tutte le avventure di Cocco Bill. Sotto, una vignetta “casalinga” del pistolero

Benito Jacovitti al lavoro dalla sua matita sono nate tutte le avventure di Cocco Bill. Sotto, una vignetta “casalinga” del pistolero

Milano, 28 marzo 2017 - «Una camomilla doppia! E subito, mondo pistola! E una anche per il mio Trottalemme! E tu oggi la bevi, per festeggiare con me, sennò ti sparo un cazzottone in un occhio, come faceva Brancaleone con il tuo collega, mondo ripistola!”. Avrebbe bloccato il traffico in corso Buenos Aires per entrare, a cavallo, nel bar più vicino al Giorno l’irrequieto Cocco Bill per celebrare, oggi, i sessant’anni della sua apparizione sul quotidiano che vantò per dodici anni il privilegio di pubblicare le sue avventure - ma l’allarme terrorismo, a vedere un cosí irrequieto pistolero in una via di Milano? Suvvia, siamo a cavallo, eddai!, fra realtà quotidiana e fantasia... -. Irrequieto come Benito Jacovitti, alias Jac, alias Lisca di pesce, il fumettaro, macché cartoonist!, piú prolifico che l’Italia abbia prodotto. Il piú amato. Il piú detestato, anche, in taluni anni, quelli caldi, naturalmente: Linus stracciò la sua coperta quando si trovò a leggere un sarcastico destrorso “raglia, raglia, giovane Itaglia!”... Sí, perché Jac accompagnò per decenni la storia patria. E con lui Cocco Bill. Anticipando, o seguendo, ma poi non ha grande importanza, gli spaghetti-western, riletti, pardon, riscritti, allora?, ridisegnati, a modo suo. Senza trascurare (quasi) nulla. Franco Nero e Tomas Milian pre-Monnezza intonavano “Vamos a matar companeros”, e Jacovitti cesellava “Cocco Bill e la revoluciòn”. Cesellava forse è troppo, però ci voleva una bella mano a stipare, di getto, oltretutto, le vignette come Bruegel stipava i suoi quadri - a proposito: anche il vecchio Pieter sparpagliava salami? -. È stato difficile, se non impossibile, imitare il Cocco. A partire dal suo umorismo nazional-surreale. E dalle esclamazioni tradotte in italiano. Ma questa è materia per linguisti e semiologi, mondo pistola!

A seguire riproponiamo l’intervista del 24 marzo 1997 di Gian Marco Walch a Benito Jacovitti, pochi mesi dopo il disegnatore morì per un’emorragia cerebrale. Aveva 76 anni.

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Venerdì, grande festa nel West: danze, spari, scazzottate e soprattutto barili di camomilla. È il Gran Giorno di Cocco Bill: il cowboy più pazzo del mondo compie 40 anni. Ecco la sua carta d’identità. Data di nascita: 28 marzo 1957; padre: Benito Jacovitti, in arte Jac; luogo: Milano; indirizzo: Il Giorno dei ragazzi. Quanto a vivacità, però, non teme confronti. Anche lui ha deciso di essere eternamente giovane (certo, è da sempre avvantaggiato: se una matita invidiosa della sua esistenza senza tempo dovesse lasciarsi scappare qualche ruga, basta un colpetto di gomma...). E non sarà il giro di boa dei «primi 40» a trasformarlo in un vecchietto petulante che consuma il tempo degli altri a ricordar loro le tante avventure di un ruggente passato.

Jacovitti, lei sta disegnando nuove tavole di Cocco Bill?

«Sì, dall’anno scorso ho disegnato circa 100 pagine per Bonelli: sapevamo che Cocco Bill quest’anno avrebbe compiuto 40 anni. D’altronde, lo stesso Tex Willer, il personaggio-cult di Bonelli, è nato molto tempo dopo che io, a cavallo del ’40, avevo già inventato Tex Revolver o Pepe lo Sceriffo. Il Cocco Bill del “Giorno dei ragazzi” è stato comunque il mio personaggio di maggior successo».

Lei aveva già lavorato per Il Giorno.

«Mi chiamò Mattei. Il primo personaggio che feci fu Gionni Galassia, perché a quei tempi c’era già qualche film di fantascienza, ma di quelli poverini, non Spielberg o Lucas: in realtà, ho fatto una fantascienza di cose straordinarie molto prima di “Guerre stellari”. Feci una storia di Tom Ficcanaso. Poi il direttore di allora, Baldacci, mi chiese qualcosa sul western. Nella storia del West compaiono Pecos Bill, Buffalo Bill, Wild Bill Hickok, Billy the Kid: allora pensai a un personaggio che si chiamasse Bill, ma unito a una parola italiana che facesse un po’ ridere. Mi venne “Cocco”. Cocco Bill suona bene. È rimasto immutato anche in tutte le altre lingue in cui mi hanno pubblicato. Così ho creato un western assurdo, dove i morti vanno al cimitero a piedi e a Cocco Bill, anziché whisky, ho fatto bere camomilla, per calmarlo un po’».

A proposito, Cocco Bill era più tenero o più iracondo?

«Era un po’ matto. In certi momenti sembra un debole, prende di quei pugni...».

È vero che Il Giorno una volta la censurò?

«Sì, disegnai il “supercaciocavallo maggiore”, e me lo cancellarono. Era in una “panoramica” sulla Fiera di Milano: fra i prodotti esposti figurava un cavallo nero, con sei zampe e una fiamma che gli usciva dalla bocca».

Che l’Eni non gradì.

«No. Come, tempo dopo, il “Corriere dei ragazzi” non gradì un’altra “panoramica” sulla Scala: si vedevano borghesotti che ai palchi appendevano salami o prosciutti con i nomi delle loro piccole ditte. E siccome il “Corriere della Sera” pubblicava la pubblicità di quegli industrialotti...».

In Cocco Bill non ci sono state molte donne. Solo Osusanna.

«Ma io di donne ne metto nelle mie storie, in una nuova avventura ci sarà una madre di campagna con 14 figli, tutti barbuti. È Cocco Bill a essere un po’ misogino».

Pensa di più a Trottalemme.

«Sì, lui sta con il suo cavallo. Lui gli parla, il cavallo gli parla, non so se gli altri lo sentono. Ecco, il cavallo. Tre anni dopo la nascita di Cocco Bill, in Francia uscì Lucky Luke. Lucky aveva un cavallo bianco, come Cocco Bill, che parlava con il padrone. Aveva una camicia bianca e un fazzoletto rosso e fumava molto, proprio come Cocco Bill».

Un plagio.

«Però ha avuto più successo. In Francia continuano a farne cartoni animati».

Che cosa ha significato «Il Giorno dei ragazzi» nell’editoria italiana? E Cocco Bill nel «Giorno dei ragazzi»?

«È stata una realtà fenomenale. Con il passare dei mesi la tiratura del Giorno, il giovedì, quando usciva il supplemento con Cocco Bill, aumentava di 40-50 mila copie».

Cocco Bill è il padre degli spaghetti-western?

«In un certo senso sì: è uscito qualche anno prima del filone dei film poi portati al successo da Sergio Leone. Infatti, il vero West era proprio quello degli straccioni. Calamity Jane era una donnaccia grossa, volgare, sporca. Nella prateria non c’era acqua. Non c’erano i cowboy con le pistole lucide, come Tom Mix».

Jacovitti, lei ha sempre smentito che abbiano seri significati i salami e i lucchetti che lei dissemina nelle sue vignette.

«Sì, Eco, Del Buono e altri hanno detto che erano riferimenti a qualche mia disfunzione sessuale, oppure che erano frutto d’una mia fissazione. In realtà, il sesso non c’entra. A quei tempi pensavo: un giorno qualcuno del Giorno mi domanderà: “Perché disegnava quei salami?”. E io risponderò: “Perché pensavo che qualcuno del Giorno un giorno mi avrebbe domandato...”». Un sorso di camomilla, grazie. E poi una coppa, per brindare a Cocco Bill, eterno ragazzo, come il suo papà Jac.

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