Le scarpe donate a un clochard: Fratel Ettore, storia di un sant’uomo

L’arcivescovo di Milano fa aprire il processo di beatificazione

SIMBOLO Fratel Ettore Boschini dell’Ordine dei Camilliani

SIMBOLO Fratel Ettore Boschini dell’Ordine dei Camilliani

Milano, 22 ottobre 2017 - I capelli bianchissimi e scompigliati. La croce rossa dei Camilliani sempre addosso alla tonaca nera. E quella statua della Madonna di Fatima issata sul tetto della vecchia e sgangherata Fiat 127. Era uno fuori dagli schemi, Fratel Ettore Boschini. Uno che non badava troppo alla forma e andava dritto al sodo. Con un’unica ragione di vita: aiutare i più deboli, stare al fianco degli ultimi. Senza fare troppe domande. Senza farsi troppe domande.

Ieri mattina la Diocesi di Milano ha annunciato l’apertura ufficiale della fase diocesana del processo di beatificazione del religioso scomparso il 20 agosto 2004 all’età di 76 anni: «L’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini – si legge nel comunicato – ha incaricato la Curia Arcivescovile di pubblicare l’Editto per l’apertura del processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Fratel Ettore Boschini». L’inizio dell’istruttoria si terrà il 19 dicembre. A meno di una settimana dal Natale. E la vita di Fratel Ettore cambiò proprio la notte della Vigilia del 1977, al dormitorio di viale Ortles a Milano: donò le sue scarpe a un clochard coi piedi congelati e se ne infilò un paio lerce e bucate per tornare a casa. Quella sera, Ettore Boschini da Roverbella, paesino di 9mila abitanti nel Mantovano, ebbe chiara la sua missione: dedicarsi totalmente ai poveri, ai senzatetto, a quelli di cui nessuno si cura e si prende cura. Nacque così Casa Betania a Seveso, in Brianza. E poi via via gli altri rifugi dell’Opera a lui intitolata: da Colle Spaccato di Bucchianico ad Affori, periferia di Milano. Già, Milano. Pensi al sacerdote dell’ordine di San Camillo de Lellis, protettore di malati e operatori sanitari, e ti viene in mente la Stazione Centrale.

Lì Ettore dava da mangiare ai «barboni». Lì Ettore, dopo tre giorni e tre notti passate davanti a un ufficio delle Ferrovie dello Stato, creò una sala mensa in due magazzini sotto il terrapieno. Oggi in quegli spazi di via Sammartini vengono accolte decine di migranti, sotto la gestione di Fondazione Arca. Il presidente è Alberto Sinigallia, uno degli allievi prediletti di Fratel Ettore: «Era un panzer – ricorda oggi – non si fermava davanti a nulla: è stato un esempio per tutti noi».

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