Il clochard ex broker: "Vivo per strada da tredici anni, non andrei mai in un dormitorio"

Alessandro Marcolin spiega l’arte di arrangiarsi: "Ho lasciato tutto perché non mi riconoscevo. Volevo vedere col cuore e non con gli occhi. Ora, sono in pace con me stesso"

Alessandro Marcolin

Alessandro Marcolin

Milano, 8 gennaio 2017 - «Morire per strada? Morire per il freddo o per la fame? A Milano lo escludo: succede a chi si lascia andare volontariamente, a chi non ha la forza o la volontà di prendersi cura di sé o di chiedere aiuto. Io ho sempre trovato cibo, riparo, vestiti, bagni». La voce è quella di Alessandro Marcolin, 71 anni, clochard “celebre” tra i senzatetto milanesi. Ex broker assicurativo con uno stipendio da sogno, un giorno di 13 anni fa ha deciso di cambiare vita. E la strada è diventata la sua casa. Più volte la sua storia è finita sui giornali e in tivù ma lui non si monta la testa, anzi: è sempre lì, alla stazione di Lambrate, con una parola buona per tutti. Col suo tempo, «che è quanto di più prezioso possa esistere. Odio le coppie che vanno a cena al ristorante guardando ciascuno il proprio cellulare: che senso ha uscire insieme se non si vuole donare il proprio tempo all’altro?». Un clochard «non convenzionale», si potrebbe dire. Pulito, sbarbato, ben vestito. Un uomo che ha scelto la strada e che neanche in queste notti gelide cerca un posto letto in una delle strutture messe a disposizione dal Comune.

Come mai? «Non andrei mai a dormire in un centro di accoglienza o in uno stanzone con posti letto. Intanto perché non posso sapere se tra i miei “vicini” c’è qualcuno con qualche malattia. E poi è terribile stare in un luogo chiuso e affollato, dove ognuno ha le sue esigenze, in cui ci sono pochissimi bagni per decine di persone. Preferisco fare da me: riesco a mangiare gratis, a lavarmi (nei bagni messi a disposizione dalle strutture religiose o delle stazioni), a dormire».

Qual è il suo riparo per la notte? «Non è sempre lo stesso. Mi capita di dormire sui treni, oppure sulle panchine. Quando sono fortunato qualcuno mi offre una camera d’hotel. C’è solo un posto in cui non dormo: a terra, perché ho paura dei topi. Ci tengo a dire una cosa: ho un sacco a pelo, che mi è stato regalato anni fa. Ed è meraviglioso, salva la vita, isola la persona dentro il “suo mondo caldo”. Ricordo un anno in cui dormivo al binario 7, a Lambrate. Nevicava, i fiocchi cadevano sul sacco a pelo ma io non avevo freddo. Purtroppo, molti clochard vendono il proprio sacco a pelo per comprare vino. Bevono, vanno in ipotermia e non si accorgono di niente... Ma queste sono persone che si rovinano da sé. A Milano, di freddo e di fame non si muore».

Le manca la sua vita di prima? «Per niente. Continuo a vedere i miei figli, i miei affetti. Io non ho lasciato tutto perché ero un fallito o un reietto della società, ho lasciato tutto perché non mi riconoscevo. Volevo vedere col cuore e non con gli occhi, essere e non apparire. Condividere e non possedere. Ora, sono in pace con me stesso».

 

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