Il sogno di pace delle Black Panthers: "Sfidiamo gli italiani, che vittoria"

La squadra di profughi si allena nella caserma Montello

I Black Panthers

I Black Panthers

Milano, 29 dicembre 2016 - Sei milioni. È il numero stimato dalla fondazione Ismu del numero di stranieri presenti oggi in Italia. Non solo chi risiede stabilmente in Italia, ma anche migranti comunitari, richiedenti protezione internazionale, rifugiati e irregolari. Ogni anno fondazione Ismu dà un premio a chi si è impegnato, portando avanti un progetto di successo, sul tema delle migrazioni. Nel 2016 il riconoscimento è stato assegnato a una squadra di calcio, le Black Panthers FC, nata per iniziativa di attivisti e richiedenti asilo. La motivazione? «Aver reso lo sport non solo uno strumento di integrazione, ma anche un metodo per lottare contro ogni forma di discriminazione nei confronti di chi rischia la vita per raggiungere l’Europa». Il co-presidente del club, Sulay Jallow, arrivato in Italia il 28 febbraio 2016 dal Gambia, adesso vive alla Caserma Montello. «Io ho lasciato il mio Paese per motivi politici, sono fuggito durante la dittatura di Yahya Jammeh. In Italia mi aspettavo di essere accolto, la democrazia e il riconoscimento dei diritti umani. È per questo che sono venuto qui a cercare asilo». Se gli chiedi cosa ha trovato, lui risponde: «Ho trovato qualcosa, ma non tutto quello che mi aspettavo. La vita in Italia è stressante – sorride – non è facile. Noi in Africa non siamo abituati così. Qui viviamo da soli, in Africa invece abitiamo insieme, passiamo tutto il tempo a contatto gli uni con gli altri». Appena ha saputo del premio alle Black Panthers «ero sorpreso, ma anche felice. Vuol dire che qualcuno ha notato tutto quello che stiamo facendo per aiutare i rifugiati. Questo ci spinge a fare di più per i loro diritti e per il loro benessere». Il progetto è nato dalla collaborazione tra attivisti e richiedenti asilo nel centro di accoglienza di via Aldini. «È iniziato tutto con delle partite di calcio nate lì – racconta Jallow –. Il nostro obiettivo è lottare per i diritti dei rifugiati e aiutarli con i loro problemi: quando qualcuno di loro ha qualche problema cerchiamo di risolverlo insieme». Sono nate in via Aldini ma ora le Black Panthers si sono trasferite alla Caserma Montello. L’incontro con gli attivisti è avvenuto al Lambretta, quando i profughi hanno cominciato a frequentare le scuole.

La squadra è composta da persone di diversi Paesi: Gambia, Senegal, Somalia, Yemen, Italia. «È una squadra multietnica e multiculturale – assicura il co-presidente –. Adesso stiamo giocando il campionato Uisp, in tutte le altre squadre ci sono ragazzi italiani. Una cosa fantastica, significa che siamo riusciti veramente a integrarci nella società italiana e abbiamo dovuto lavorare sodo per farlo. Forse in futuro anche molte altre persone riusciranno ad arrivare fin qui...».

Chi finanzia le partite? «Nessuno, ci aiutano soltanto gli attivisti del Lambretta. Per comprare le stoffe per le divise, il cibo… Ci chiamiamo Black Panthers, ma non siamo solo gente di colore. Se sei un rifugiato e hai un problema, noi proviamo ad aiutarti con tutte le nostre forze a prescindere dal colore della tua pelle. Se anche un italiano ha un problema, noi lo aiutiamo perché le Black Panthers sono nate per questo: per aiutare». Intanto, in Gambia le elezioni presidenziali hanno sancito la sconfitta di Yahya Jammeh, battuto dall’opposizione dopo 22 anni di dittatura. E Jallow è felice: «Una grande notizia perché in Gambia ha vinto la coalizione. I sette partiti oppositori si sono uniti e hanno eletto un unico uomo, Adama Barrow, per essere il leader. Adesso che ha vinto le elezioni voglio dire ai miei connazionali di lavorare duro per il bene del Paese, per cercare di tirare fuori qualcosa di davvero positivo da tutto questo, per istituire la democrazia, per tutti. Perché è questo quello che ci è sempre mancato. Dobbiamo aiutare il nostro Governo a raggiungere quello di cui davvero abbiamo bisogno». Perché la patria è lontana fisicamente, ma nel cuore è vicina. «Vorrei tornare in Gambia un giorno – sospira Jallow –. Vorrei aiutare le persone più povere. È questo il mio progetto. Se sarò supportato dall’Italia, potrò tornare in Gambia e realizzarlo. Non vorrei fermarmi solo lì. Certo, sarà il mio primo obiettivo perché è il mio Paese, ma punto a tutta l’Africa. Voglio aiutare i bambini e le donne, che sono i più vulnerabili in quel Continente. Se riuscirò a portare avanti questo progetto, girerò tutta l’Africa e aiuterò la mia gente ad essere davvero libera».

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