Yussuf o Cat Stevens, il carisma è lo stesso. Concerto a Milano al Forum di Assago

A Milano non sarà necessario dover scegliere Yusuf o il vecchio Cat, perché sotto i riflettori del Forum di Assago ci saranno entrambi. Il Peace Train Tour che riporta l’autore di “Wild world” nelle arene europee e in quelle americane (dopo trentacinque anni) prova infatti a far dialogare le diverse anime del cantante londinese di Andrea Spinelli

Yusuf Islam sarà al Forum di Assago

Yusuf Islam sarà al Forum di Assago

Milano, 11 novembre 2014 - Un Amleto barbuto l’ha definito Art Garfunkel introducendolo la scorsa primavera nella Hall of Fame del Rock’n’Roll. E a Yusuf Islam, l’uomo acclamato un tempo dalle hit-parade di tutto il mondo come Cat Stevens, non è rimasto che crogiolarsi in quella similitudine pur sapendo che lui il suo spettro l’ha scacciato già da tempo. E che oggi a Milano non sarà necessario dover scegliere Yusuf o il vecchio Cat, perché sotto i riflettori del Forum di Assago ci saranno entrambi. Il Peace Train Tour che riporta l’autore di “Wild world” nelle arene europee e in quelle americane (dopo trentacinque anni) prova infatti a far dialogare le diverse anime del cantante londinese, nato nel ‘48 Steven Demetre Georgiou da padre cipriota e madre svedese, con una trentina di canzoni in bilico tra i favolosi anni Settanta di “Tea for the Tillerman” o “Teaser and the Firecat” e il blues del ben più recente “Tell’em I’m gone”, uscito a fine ottobre. “Tell’em I’m gone”, dite loro che me ne sono andato, è il terzo album pubblicato da Yusuf in otto anni, quello più strutturato della sua recente discografia grazie alla presenza in cabina di regia del super produttore Rick Rubin e in sala d’incisione di superbi compagni di strada come Richard Thompson, Charlie Musselwhite, Bonnie “Prince” Billy e il gruppo tuareg dei Tinariwen. L’album figura per intero nella seconda parte dello show portato al debutto martedì scorso all’Eventim Apollo di Londra, per lasciar spazio nella prima ad un juke-box generazionale che spazia da “The wind” a “The first cut is the deepest”, da “If you want to sing out, sing out” a “Moonshadow” e, nel finale, ad altri pezzi (da novanta) di Cat Stevens come “Oh very young”, Morning has broken”, “Father and son” e “Peace train”.

I più ricordano che la conversione all’ Islam di Steven-Cat (il nome d’arte lo scelse dopo che una ragazza gli aveva detto che i suoi erano occhi da gatto) arrivò nel ’77, quando rischiò di annegare di fronte alla spiaggia di Malibù. «Gridai: ‘Dio, se mi salvi ti dedicherò la vita’ e proprio in quell’istante un’onda più forte delle altre mi sollevò in aria scaraventandomi verso la riva». La decisione era presa, anche se ci sarebbero voluti altri due anni e altri due album, “Isitzo” e “Back to the Earth”, per vedere l’ex Stevens indossare la gellaba, farsi crescere la barba, e abbandonare il dorato mondo dello show business. «Dalla mia vita precedente ho imparato abbastanza per sapere che, diventando musulmano ho preso la decisione giusta» ammette. «Sono tornato all’essenziale, liberandomi dell’immagine spropositata che mi era stata costruita attorno e in cui ormai credevo quasi anch’io». Come mostrato anche all’ultimo Festival di Sanremo, a 66 anni Yusuf - che vive a Dubai con la moglie Fouza Ali (sposata nel ’79 nella moschea di Kensington) e i loro cinque figli - sembra aver trovato il giusto equilibrio tra la fede e la celebrità. «I conflitti sulla terra sembrano non dover finire mai, eppure niente ci fermerà dal continuare a sognare ‘che il mondo sia uno’ e che le parole di ‘Peace train’ un giorno possano diventare realtà».

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