Il capotreno aggredito col machete: "Io sarò ferroviere per sempre"

Milano, Carlo Di Napoli riceve l’Ambrogino proposto da «Il Giorno» di GABRIELE MORONI

Carlo Di Napoli (Newpress)

Carlo Di Napoli (Newpress)

Milano, 6 dicembre 2015 - «Le ferrovie sono la mia vita. Forse non sarò più capotreno, ma sarò sempre un ferroviere». Il tono tranquillo ma fermo di chi crede in certi valori. Un viso pulito che dimostra ancora meno di 32 anni. Carlo Di Napoli, foggiano di Ascoli Satriano, ferroviere dal 2006, è il capotreno aggredito con il collega Riccardo Magagnin da una banda di sudamericani, la sera dell’11 giugno, sulla linea Rogoredo-Rho. Un colpo di machete sferrato con inaudita violenza quasi stacca il braccio sinistro di Carlo. L’amputazione scongiurata dalla chirurgia con tre interventi. La riabilitazione. Domani Milano e non solo Milano diranno “grazie” a Carlo e Riccardo. Al Teatro Dal Verme i due capitreno riceveranno la Benemerenza civica, l’Ambrogino d’oro. Una proposta lanciata da Il Giorno.

Carlo Di Napoli, come vive questo riconoscimento?

«M’inorgoglisce. L’hanno ricevuta personaggi illustri. Riceverla a mia volta mi riempie di orgoglio. Ringrazio davvero Il Giorno, ci ha seguito molto. Ringrazio Il Giorno per una cosa e per l’altra».

Emozionato?

«Sì. Se potrò, saluterò dal palco con la mano sinistra».

Cosa ricorda di quella sera?

«Tutto. L’unica cosa che ho rimosso è l’istante preciso del colpo. Sono sempre rimasto vigile e ho memoria precisa di quello che stavo facendo nel normale giro di controlleria, com’è nelle normali mansioni di un capotreno. Riccardo era su quel treno, ma non era in servizio».

Un ricordo particolare?

«Mentre ero inginocchiato sulla banchina si è avvicinato un ragazzo sudamericano e mi ha chiesto: ‘Posso pregare per te?’. ‘Prega con me’, gli ho risposto. È venuto a trovarmi in ospedale. Mi ha domandato se mi ricordavo di lui. Lo ricordavo. Mi ha regalato una Bibbia».

Come si sente adesso, sei mesi dopo?

«Decisamente meglio. La terapia mi sta facendo recuperare. Il mio braccio sinistro è rimasto fermo con un fissatore per due mesi. Oggi, grazie alla fisioterapia, la mobilità sta tornando normale. Non sarebbe stato così se i chirurghi del trauma-team di Niguarda non avessero fatto il miracolo. Mi sento protagonista di un miracolo della medicina».

Che percorso ha davanti?

«Dopo l’ultima operazione, al San Gerardo di Monza, il dottor Del Bene mi ha innestato nel braccio i nervi di entrambi i polpacci. Al Gaetano Pini ho ripreso la fisioterapia con Cristina Marchese e la fisiatria con Laura Volontè, che mi stanno facendo fare un percorso di riabilitazione motoria per polso, mano, gomito, spalla e di elettrostimolazione per i nervi radiale e mediano. Quelli tranciati dal colpo. Ho davanti ancora un percorso molto lungo».

Come lo affronta?

«Sempre con il sorriso. So che questo è un percorso obbligato. So che non esistono scorciatoie. È così».

Ha pubblicato una frase su Facebook: “La mia più grande felicità sarà abbracciare la mia bambina”.

«Il mio obiettivo è poter abbracciare la mia bambina, Polpetta, come la chiamo, di 11 mesi. Abbracciarla con entrambe le braccia».

Carlo e Riccardo: ferrovieri e amici.

«Riccardo e io siamo stati assunti insieme nove anni fa, il 3 agosto del 2006. È venuto al mio matrimonio. Abbiamo fatto qualche viaggio. Siamo veramente amici. E Riccardo lo ha dimostrato, intervenendo in mio aiuto, soccorrendomi. Anche se penso che l’avrebbe fatto per qualunque collega. Continuerò a ringraziarlo comunque e ovunque. Noi ferrovieri siamo una famiglia, ci diamo una mano a vicenda. Ci è capitato di intervenire in appoggio a colleghe donne, ma anche di colleghi, in difficoltà. A bordo dei treni siamo abituati a fare squadra. Trenord sta facendo molto per la sicurezza del personale viaggiante».

Quanto le è stata vicina l’azienda?

«Mi è stata vicina dall’inizio. I dirigenti sono stati fra i primi a venirmi a trovare. Ringrazio sempre la dottoressa Farisè, amministratore delegato di Trenord, che quella notte non si è staccata neppure per un attimo da mia moglie in ospedale. Appena sono stato cosciente l’ho subito ringraziata per questo. Ha dimostrato una grande umanità».

La famiglia.

«È la mia ancora di salvezza. Mia madre mi portava le bistecche in ospedale. Mio padre rispondeva alle telefonate quando non riuscivo. Tutti i parenti, suoceri, cognati. Mia moglie Anna Maria è una roccia. Ha sopportato tutto, a cominciare da quando ha ricevuto la telefonata che la informava di quello che era successo. La bambina allora aveva solo 5 mesi. È mia moglie la vera roccia. Ero in ginocchio. Riccardo si era toto la cintura dei pantaloni e cercava di usarla come un laccio emostatico. Una ragazza, Erica Santoro, aveva preso la cravatta a un passeggero e faceva lo stesso. Io cercavo l’arteria sotto il bicipite, ho sentito che pulsava, allora ho provato a comprimerla con il pollice. In quel momento il pensiero era per mia moglie e la mia bambina. Mi sono aggrappato a loro con le unghie e con i denti, con tutte le mie forze».

Tornerà al lavoro?

«Per essere capotreno sono necessari determinati requisiti fisici. Non sono così pazzo da pensare di poter recuperare al cento per cento soprattutto la funzionalità della mano, la più compromessa. Ma le Ferrovie sono la mia vita. Forse non sarò più capotreno, ma sarò sempre un ferroviere».

Cosa le rimane di tutto questo?

«Fra il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno, sono sempre per pensare che sia mezzo pieno. Lo penso anche in questa esperienza».

Forse vorrebbe dire ancora qualcosa, questo ragazzo semplice e coraggioso. Ma soprattutto gli premono altri ringraziamenti. «Voglio ringraziare il personale ospedaliero, a proprio tutto, dai medici agli infermieri, agli operatori sanitari, i ragazzi dell’automedica che sono intervenuti. Nel primo periodo del mio ricovero, a Niguarda, ho vissuto anche momenti sereni e spensierati, non solo grazie alle visite dei miei familiari, amici, colleghi, ma anche grazie alle persone con cui dividevo la degenza, Adriana, Pier, Fabio e i loro compagni Giacomo, Pino, Monica. Ci tiravamo su di morale a vicenda, scherzando su tutto, comprese le nostre disgrazie».

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