Eluana poteva morire: la Regione doveva garantire la sospensione delle cure

«La vicenda di Eluana porta avanti delle libertà fondamentali del cittadino di fronte alle istituzioni». Così Beppino Englaro, padre di Eluana, commenta la sentenza del Consiglio di Stato che ha stabilito – come sottolinea l’avvocato Vittorio Angiolini - che Regione Lombardia era tenuta a fornire le cure alla paziente e che il diritto di avere una cura comprende, in se stesso, il diritto di interromperla

Una foto di Eluana Englaro (Ansa)

Una foto di Eluana Englaro (Ansa)

Lecco, 5 settembre 2014 - «La vicenda di Eluana porta avanti delle libertà fondamentali del cittadino di fronte alle istituzioni». Così Beppino Englaro, padre di Eluana, commenta la sentenza del Consiglio di Stato che ha stabilito – come sottolinea l’avvocato Vittorio Angiolini - che Regione Lombardia era tenuta a fornire le cure alla paziente e che il diritto di avere una cura comprende, in se stesso, il diritto di interromperla. Eluana Englaro, nata nel 1970, in seguito di un incidente stradale ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni.

Lo stato della ragazza e la scelta del padre Beppino per sospendere l’alimentazione forzata in base alla volontà della figlia hanno dato il via a una battaglia legale e politica che per anni ha scosso le coscienze degli italiani su un tema così delicato e complesso. Dal 1992, anno dell’incidente automobilistico di Eluana, si è scatenato il dibattito e questa sentenza riaccende le polemiche. Secondo la sentenza quindi Eluana aveva il diritto di morire a Lecco e Regione Lombardia aveva l’obbligo di garantire la sospensione delle cure.

Nel 2009, per poter sospendere l’alimentazione forzata a Eluana, la famiglia fu costretta a portarla in Friuli al fine di far attuare la sentenza della Cassazione che autorizzava la sospensione del trattamento terapeutico e del sondino nasograstrico. Cosa che la Regione Lombardia non permise e ostacolò. «Si tratta di una sentenza – ha sottolineato Englaro - che chiarisce ulteriormente il senso della decisione della Cassazione, che viene chiarita dentro l’organizzazione sanitaria. A dimostrazione del potere che ha il cittadino di portare avanti le proprie libertà fondamentali, allineate alla Costituzione, sostenuto da una magistratura che dimostra di non essere serva di alcun potere». 

Subito ci sono state le reazioni critiche, a partire da Roberto Formigoni, presidente della Lombardia all’epoca della morte di Eluana, che afferma: «In Italia l’eutanasia non è legale. Sorprendente la sentenza del Consiglio di Stato, che è un organo amministrativo e come tale non ha competenza sui diritti fondamentali del cittadini come sono il diritto alla vita e il diritto alla morte». Anche Maurizio Sacconi, capogruppo di Ncd, è critico: «La sentenza della sezione del Consiglio di Stato sul rifiuto della regione Lombardia di accompagnare a morte Eluana Englaro appare sconcertante per i tempi e per i modi. Essa interviene infatti a distanza di tempo dal triste compimento dell’operazione eutanasica e, ad una prima lettura, sembra affermare che il servizio sanitario nazionale può condurre a morte una persona viva e vegeta ancorchè in stato di forte disabilità dalla imprevedibile durata e reversibilità».