Parola a Prodi

Milano, 29 novembre 2016 - A cinque giorni dal voto sulla riforma costituzionale c’è spazio solo per l’isteria. Fibrillano le borse, s’impenna lo spread, trema Mps, trepida Bruxelles, Renzi si avviluppa nella spirale delle promesse, Grillo si appella alla «pancia» degli elettori, Berlusconi minaccia un improbabile ritiro. Tutto è politica, si polemizza su tutto. C’è solo una persona che mantiene una calma olimpica, che non parla né si schiera. È Romano Prodi. Sappiamo che voterà Sì turandosi il naso, ma non intende dirlo. Non vuole favorire il premier.

Eppure, come sostiene Arturo Parisi, la riforma del Senato nasce per germinazione diretta dal programma ulivista. La vittoria del No archivierebbe l’Ulivo, il bipolarismo, il maggioritario. Metterebbe tra parentesi l’intera esperienza politica di Romano Prodi. Molti elettori attendono una sua indicazione. Abbandonarli e continuare a tacere per insofferenza personale non renderebbe onore all’uomo né alla carica istituzionale che ha ricoperto. Mancano 5 giorni, Romano Prodi non è Mario Monti né Ponzio Pilato. Dovrà parlare. Dovrà farlo per amor di Patria e senso del dovere. Lo ha fatto persino Enrico Letta, ben più di lui risentito con Matteo Renzi.