Eutanasia, l'ultimo viaggio è per la Svizzera

Eutanasia, nelle cliniche da 31 nazioni. Quintuplicati gli italiani. Hanno malattie degenerative, la maggior parte proviene da Germania e Gran Bretagna di Roberto Canali

Un ospedale

Un ospedale

Lugano, 21 agosto 2014 - In maniera sprezzante li chiamano «turisti del suicidio assistito», sono uomini e donne che da tutto il mondo scelgono la Svizzera come meta dell’ultimo viaggio della loro vita, verso una morte serena che in fondo è una fuga onorevole da un’esistenza fatta di malattia e sofferenze. Le cliniche elvetiche offrono anche questo: le migliori cure al mondo e la possibilità, dove la medicina si ferma e la voglia di vivere anche, di ottenere l’eutanasia, quella morte dolce che in quasi tutti i Paesi del mondo è reato. Negli ultimi quattro anni il numero di queste prestazioni speciali è raddoppiato. Lo rivela uno studio pubblicato in questi giorni sul ‘Journal of Medical Ethics’ che ha censito ben 611 casi di persone domiciliate all’estero che si sono recate nella Confederazione per dire addio al mondo.

Il passaporto in questi casi fa la differenza, visto che esistono due organizzazioni che si occupano della questione: la Dignitas, che non fa distinzioni di nazionalità, ed Exit riservata invece ai soli cittadini svizzeri. L’autorizzazione alla morte assistita arriva solo dopo che una commissione di medici e psicologi, incaricati di stabilire la volontarietà e l’impossibilità di cura, ha dato il proprio assenso. Così la Svizzera è diventata sinonimo di eutanasia per malati senza speranza di 31 diversi Paesi. La maggior parte arriva dalla Germania (268 casi in 4 anni) seguita da Gran Bretagna (126 casi), Francia (66). E l’Italia: 44 casi, un dato quintuplicato. Nella graduatoria figurano anche americani, austriaci, canadesi e israeliani. L’età media è 69 anni, ma il più giovane ne aveva 23 e il più anziano 97. Nella maggior parte dei casi, il 58,8%, si tratta di donne.

La metà dei suicidi assistiti sono stati compiuti nei confronti di pazienti affetti da malattie neurologiche (paralisi, Parkinson e sclerosi multipla), poi tumori e malattie reumatiche. La maggior parte si è dato la morte ingurgitando una pastiglia di pentobarbital sodico, potente narcotico. Nelle cliniche che della «dolce morte», l’ultimo viaggio ha un rito preciso. Un medico scioglie la sostanza in un bicchiere, il paziente beve e mangia zucchero per scacciare il sapore amaro. In tre minuti ci si addormenta per non svegliarsi più.