Cantù, il racconto di Manno: "Ho sparato solo per paura"

Accusato di tentato omicidio, ha fornito dichiarazioni spontanee davanti al gip

Antonio Manno ha detto di aver sparato per paura

Antonio Manno ha detto di aver sparato per paura

Cantù (Como), 12 agosto 2016 - "Ho sparato perché avevo paura. Il primo colpo l’ho esploso per difendermi, il secondo mi è partito senza che me ne accorgessi, mi tremava la mano". Antonio Manno, il ventunenne accusato del tentato omicidio di Andrea Giacalone, ieri mattina, assistito dall’avvocato Aldo Egidi, ha risposto alle domande del del gip milanese che lo ha interrogato su rogatoria. Ha raccontato di essere stato più volte intimorito da Giacalone, il barman di 25 anni ora ricoverato in fin di vita all’ospedale Sant’Anna.

Abitavano nella stessa palazzina di via Grandi, si incrociavano e litigavano, sempre per lo stesso motivo: l’ex compagna di Giacalone, da cui aveva avuto una bimba che ora ha cinque anni, e che negli ultimi tempi frequentava Manno. "Mi ha picchiato due volte, mi aggrediva" ha detto Manno al giudice. Così la sera del 3 agosto, quando è tornato in via Corbetta a terminare la discussione iniziata un’ora prima, si è portato una doppietta che possedeva da tempo. Ha detto di averla comprata illegalmente da un marocchino non meglio definito, e che la teneva nascosta. Era scarica, le due cartucce la aveva in tasca, ma quando i toni della lite si sono fatti particolarmente accesi, l’ha caricata.

"Avevo armato il fucile solo per spaventarlo, perché ero impaurito e temevo la sua reazione – ha detto Manno al giudice – ma poi è partito il colpo. È caduto a terra, mi sono avvicinato per capire cosa fosse successo ed è partito il secondo colpo. Non so nemmeno io come… avevo ancora il dito sul grilletto, mi tremava la mano. Non volevo ferirlo". Questa è stata la sua spiegazione, la rilettura dal suo punto di vista, di quanto accaduto dieci giorni fa, alle 3 di notte dopo la serata affollatissima di piazza Garibaldi, in una strada trasversale sulla quale non punta direttamente nessuna telecamera. Dall’interrogatorio non è emerso che fine abbia fato quel fucile. Manno ha ribadito di essersi allontanato subito, in stato confusionale, di averlo buttato da qualche parte, ma per il momento quell’arma non è stata recuperata, perché lui stesso non è in grado di dire dove sia finita. Allo stesso tempo rimane da capire, attraverso le indagini ulteriori, dove sia stato per cinque giorni. L’interrogatorio è durato oltre un’ora, all’interno del carcere di Opera dove il ventunenne si è costituito lunedì sera. In tempi brevi, per competenza territoriale dovrebbe essere trasferito a Como.