Gli industriali contro il "Fattore di pressione": dannoso per le imprese

Gli industriali ricorrono al Tar per bloccare il piano regionale per ridurre l'impatto delle discariche

Il presidente di Aib Giuseppe Pasini

Il presidente di Aib Giuseppe Pasini

Brescia, 19 dicembre 2017 - Da terra di discariche a terra del recupero, purché la politica non tagli le gambe alle aziende che ci provano. Il messaggio arriva da Aib, la Confindustria bresciana che ha fatto ricorso al Tar contro il "Fattore di pressione", criterio introdotto dal Pirellone, che impedisce la realizzazione di nuove discariche e limita il quantitativo massimo di rifiuti conferibili in un sito esistente. Con una recente delibera presentata dall’assessore all’ambiente Claudia Terzi, il valore soglia del fattore di pressione è stato inasprito. «Arriva come una mannaia – spiega Alessandro Corsini, responsabile sicurezza e ambiente di Aib – senza integrarsi con quanto già esiste. La delibera non riporta gli elementi scientifici idonei a fondare tale criterio: ci sono considerazioni approssimative sulla base di studi non meglio specificati».

Secondo Aib, non ci sono evidenze che il Fattore di pressione tuteli e ambiente e salute, mentre è certo che danneggi le imprese. «Con il Fattore di pressione, sin da subito abbiamo avuto un aumento del costo dei rifiuti del 30-40% – spiega il presidente di Aib, Giovanni Pasini – e si prevede che nel 2018 aumenterà». Per quanto riguarda il ricorso, Pasini precisa: «Non lo abbiamo fatto per salvaguardare gli impianti, ma per il territorio. Se l’assessore Terzi fosse disponibile a rivedere il fattore di pressione, saremmo disponibili a ritirarlo».

L’occasione di un confronto potrebbe essere il progetto per l’economia circolare lanciato da Aib: istituzioni, università e ambientalisti a confronto sulle possibilità di recuperare gli scarti, passo necessario per ridurre le discariche. Con l’economia in ripresa, i rifiuti speciali sono in aumento, ma probabilmente già nel 2018 si farà fatica a smaltirli nel bresciano, dove, al 2016, restava una disponibilità residua globale del 40%, che scende al 15% per gli speciali (784mila mc).

Rocce e terre da scavo e di scorie d’acciaieria si potrebbero riutilizzare in altro modo (in Veneto le usano per le strade), ma a fronte di complicazioni burocratiche, sociali, tecnologiche, alle aziende lombarde conviene mettere tutto in discarica. «Noi siamo per l’economia circolare – commenta Pasini – ma tante volte il cerchio non si chiude, perché c’è chi non vuole né discariche, né recupero. Inoltre, se i nostri imprenditori vogliono fare piattaforma di recupero, i tempi sono 5-10 anni, ammesso che te lo concedano». Lo conferma Tiberio Assisi, alla guida di un’azienda che da 50 anni si occupa di recupero metalli: «Recuperiamo l’85% di ciò che introitiamo, sperimentiamo per recuperare un’ulteriore frazione che ora va in discarica, ma incontriamo tanti problemi, burocratici e di accettabilità sociale».