Caso Yara, il criminologo e lo psicopatologo forense: due pareri a confronto

Interviste a Francesco Bruno e a Paolo De Pasquali sulla vicenda della tredicenne di Brembate che vede Massimo Bossetti accusato di omicidio di Gabriele Moroni

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Bergamo, 20 febbraio 2015 - È uno dei nomi della criminologia italiana. Dopo avere diretto il dipartimento di scienze psichiatriche e insegnato psicologia forense alla «Sapienza» di Roma, oggi Francesco Bruno è ordinario all’Università della Calabria.

Il criminologo Francesco Bruno

Professor Bruno, perché Bossetti non confessa? «Perché non ha niente da confessare. Non credo che questa persona possa essere l’assassino di Yara. Quelli a suo carico sono indizi considerati gravosi solo dall’accusa».

Il Dna non è sufficiente per inchiodarlo? «Il Dna non è una prova di omicidio ma un indizio. Può signficare che una persona è stata in un posto oppure che ci è arrivato il suo Dna. Consideriamo che il corpo di Yara è rimasto per tre mesi in un campo, non in una farmacia o in una cela frigorifera». 

Cosa si dovrebbe fare? «Ci vuole un esperto indipendente che, sotto giuramento, dica cos’è questo Dna. Il Dna è solo una identificazione di persona, non una prova che questa persona abbia commesso il delitto. Prevedo che in futuro saremo ossessionati dal Dna. Le forze di polizia lo devono trattare in un certo modo per evitare che si verifichino cose improbabili».

Cos’altro non la persuade? «Questo disgraziato sta in galera con un’accusa pesantissima, ma senza una storia, una situazione alle spalle. Nella vita di costui non c’è notizia. Poi si capirà come si è arrivati a questo Bossetti. Vedo che ogni volta che la difesa fa qualcosa per controbattere, come è accaduto di recente, guarda caso esce qualcosa come il pelo del camioncino o altro».

Si tratta di fibre considerate compatibili con quelle del sedile del furgone di Bossetti. «In criminologia “compatibile” non significa assolutamente nulla. Può essere il pelo di qualunque altro automezzo».

Immaginiamo un Bossetti colpevole che non confessa, per esempio, per i figli. «Se fosse così sensibile nei riguardi dei figli, non sarebbe neanche un assassino. Una persona che commette un reato tanto grave non avrebbe queste sensibilità. Oppure sarebbe combattuto, tormentato. A quest’ora sarebbe già crollato una cinquantina di volte».

 

Un assassino anaffettivo oppure un innocente che si difende con tutte le sue forze. Sono le alternative per Massimo Bossetti individuate da Paolo De Pasquali, professore a contratto di psicopatologia forense all’università di Firenze, autore dei saggi «Serial killer in Italia», «Figli che uccidono», «L’orrore in casa», «Cocaina, psiche e crimini», «Stalking».

Il criminologo Paolo De Pasquali

Professor De Pasquali, che significato può avere una non-confessione? «Non si può dire che sia un elemento di colpevolezza o di non colpevolezza. Da sola non significa nulla. Ci sono colpevoli che confessano e altri no. Così come ci sono innocenti che, sotto stress o sottoposti a pressione, confessano reati che non hanno commesso. E ci sono innocenti che in prigione resistono. Confessare o non confessare dipende dalla personalità del soggetto».

Per esempio? «C’è il criminale professionista e c’è l’assassino occasionale. Il professionista sa a cosa va incontro, magari è già stato in galera. Può anche confessare. Chi è al primo reato, anche grave, teme l’arresto, la prigione, l’ambiente del carcere. Farà di tutto per non finirci e se ci va, si impegnerà al massimo per non restarci, per dimostrare la sua estraneità».

Qui siamo davanti a un delitto con vittima una minore. «In casi come quello di Yara scattano ulterori meccanismi difensivi, prima davanti alla condanna morale della società e poi alla condanna esemplare che verrà da un tribunale. Chi si macchia di questi crimini abietti è segnato a fuoco da uno stigma di infamia, che macchia lui e la sua famiglia».

Il responsabile può arrivare alla confessione? «Questo tipo di indagato confessa solo per l’eventuale emergere di un senso di colpa che può trascinare la sua confessione. Ma ci sono assassini che non provano né senso di colpa né pentimento e che possono approdare alla confessione solo se aiutati con la psicoterapia. Soggetti psicopatici, anaffettivi o anche sadici».

Un Bossetti colpevole potrebbe confessare? «Non lo ha fatto in tutto questo tempo. Se ha mantenuto questa posizione, delle due l’una: o è uno psicopatico o è innocente».