Morti sospette in ospedale a Saronno, Cazzaniga: "Io non deliro"

L'ex viceprimario del Pronto soccorso ai giudici: "La fine dei pazienti mi dava dolore"

Leonardo Cazzaniga al processo

Leonardo Cazzaniga al processo

Saronno (Varese), 9 ottobre 2018 - Nessun delirio di onnipotenza. Nessun piacere nel decidere quando porre fine alla vita di un paziente. Leonardo Cazzaniga replica in aula a quanto ha appena dichiarato Elena Soldavini, al tempo sua collega al pronto soccorso del presidio sanitario di Saronno.

Si parla di una delle morti contestate al medico, quella di Angelo Lauria, pensionato di 69 anni, di Rovello Porro, deceduto al pronto soccorso il 9 aprile 2013. È la seconda volta che l’ex aiuto primario si alza e prende la parola davanti all’Assise di Busto Arsizio dove viene processato per gli omicidi di undici pazienti e di tre familiari di Laura Taroni, all’epoca sua amante. «Volevo chiarire – dice con voce sommessa e tono garbato – alla Corte e al presidente che non ho mai provato piacere nella morte di un paziente. Anzi, la morte del paziente stesso mi procurava un autentico dolore. In quel periodo ero in terapia da uno psichiatra di Milano, ma l’assunzione di farmaci non ha mai influenzato le mie decisioni di lavoro. Lauria era al pronto soccorso con una frequenza respiratoria di 40 atti al minuto. Quindi una grave alterazione che già di per sé avrebbe giustificato il codice rosso, nel contesto di una delicata situazione polmonare, che necessitava di cure palliative. Se posso aggiungere un’ultima cosa, da medico, che so perché ho letto il verbale, l’ipotesi di intubare un paziente in queste condizioni non è solo accanimento terapeutico ma anche desiderio di prolungare l’agonia».

Elena Soldavini (che ha ultimato la messa in prova ai servizi sociali per omessa denuncia) riferisce dei motivi che le fecero apparire sospetta la morte di Lauria, inviato al pronto soccorso dall’oncologia, come paziente tumorale. L’aveva preceduto una telefonata ricevuta da Cazzaniga. Al triage gli viene assegnato un codice verde, anziché rosso. «Gli infermieri mi parvero un po’ agitati, un po’ preoccupati. Controllai sulla schermata del pronto soccorso vidi che il codice di accesso era il verde. Chiesi se ci fosse stato un errore. L’infermiere era fra i più anziani e più bravi: nessun errore. Sul verbale notai una frase che mi lasciò perplessa: il paziente era “inviato al pronto soccorso per emendare una situazione non emendabile a domicilio”. C’erano elementi per far pensare che il decesso poteva non essere stato per cause naturali. Decisi di riferire tutto al primario (Nicola Scoppetta, ndr)». Il pubblico ministero Maria Cristina Ria nel verbale del 29 maggio 2015 ha ricevuto una dichiarazione che sottopone alla testimone: «Da come conosco il dottor Cazzaniga ritengo che lo stesso sia affetto da problemi psichiatrici evidenti. La mia impressione è che lui soffra di deliri di onnipotenza e che provi un certo piacere nello stabilire il momento della morte del paziente. Ho parlato di questa mia impressione al dottor Scoppetta, mio diretto responsabile, e lui non mi ha mai detto nulla. Cazzaniga dice di essere tuttora in cura da uno psichiatra e di assumere psicofarmaci».

Nello stesso verbale Elena Soldavini dichiara che il paziente Lauria poteva essere intubato o aiutato con la ventilazione assistita. È l'innesco dell’intervento di Cazzaniga. La morte di Lauria e quelle nella famiglia di Laura Taroni. Soldavini e l’infermiera Jessica Pirra, nel marzo del 2014, si presentano dai carabinieri di Cantù. «Ci venne consigliato di fare un esposto anonimo per tutelare un po’ la nostra posizione ed evitare ritorsioni. Io lo scrissi e la Piras lo consegnò». L’esposto finì nel fascicolo dell’incendio nell’azienda agricola di Massimo Guerra, marito di Laura Taroni, e non ebbe seguito.