“Via le mani”. La voce arrivava, paciosa ma inflessibile, dall’altra stanza. Impossibile non sentirla. La vecchia redazione varesina de Il Giorno era un covo di pochi metri quadrati, due locali e un bagnetto cieco. Ezio Motterle, scomparso questa notte a soli 68 anni, richiamava così i suoi “ragazzi” alla sera, verso l’orario di mandare in stampa. Era tempo di chiudere i pezzi - in gergo, terminare gli articoli - e lasciarli a un suo ultimo controllo. Ezio riguardava, verificava e correggeva. Toglieva un aggettivo. Sfumava un concetto. Ripuliva una frase. Noi, giovani cronisti dell’epoca, ci irritavamo per quella che percepivamo come un’intrusione. Poi, crescendo, abbiamo capito. Lo faceva per il nostro bene. Per evitarci guai inutili, per evitarli al giornale. Ma anche per tutelare i protagonisti dei casi di cui stavamo scrivendo. Per Ezio - lo “zar” del regno di Varese, come lo aveva ribattezzato Gabriele Moroni, inviato per Il Giorno che con lui ha condiviso numerosi tratti di strada - il rispetto delle forme che sono sostanza era il bene più prezioso che un giornalista potesse coltivare. La redazione di Varese affacciava sul palazzo di giustizia. Collocazione tattica. Di quell’edificio Ezio Motterle conosceva ogni angolo. Ogni segreto. Ne aveva battuto aule e corridoi in gioventù, nerista e giudiziarista per il quale il fiuto andava di pari passo con il rigore professionale.
Prima per il Giornale di Varese, testata dalla vita editoriale breve. Successivamente per il Giorno, quotidiano a cui ha legato praticamente tutta la sua vita nel mestiere. In coppia con lui, sui tanti casi di cronaca che la provincia lombarda sa proporre all’attenzione dei giornalisti (uno per tutti, il terribile omicidio della giovane studentessa Lidia Macchi), Gianni Spartà della Prealpina. Un rapporto quasi simbiotico - di stima reciproca, seppure nella rivalità fra le testate e nelle differenze di caratteri - che portava qualche anziano avvocato del foro varesino a confonderli. Ezio amava raccontare come nella piazza del tribunale ci fosse una cabina telefonica, verso la quale lui e Spartà si precipitavano, carichi di gettoni, in una gara su chi potesse essere il primo a comunicare le ultime notizie ai rispettivi giornali.
Da cronista Motterle seguì anche l’impetuosa affermazione della Lega di Umberto Bossi. Partecipò alla conferenza stampa di presentazione dell’Unolpa (Unione nord ovest lombarda per l’autonomia), embrione del Carroccio che sarà, uscendo con la testa piena di idee all’apparenza strampalate ma con l’intuizione che quella proposta politica avrebbe potuto fare strada. Dal Senatùr, in quei primi incerti passi dell’idea leghista, Motterle riceveva lunghe telefonate notturne. Bossi voleva sapere dal giornalista accorto quali fossero opinioni e sensazioni dei varesini rispetto alle parole d’ordine dell’autonomia e del federalismo. Ezio poteva farsi fregio - ma mai volle farsene vanto - dell’amicizia personale di Roberto Maroni. “Bobo”, anche lui portato via da un male incurabile, da ministro dell’Interno o governatore nelle sue visite ufficiali a Varese, era solito fendere il muro delle guardie del corpo per salutare Ezio con un colloquialissimo quanto affettuoso “ciao, castorone”. Di quella conoscenza approfondita con i vertici leghisti Motterle mai approfittò per fare ingresso nelle “stanze del potere”. Ricevette proposte e offerte, ma fu risoluto nel rifiutare. Teneva troppo in conto il valore dell’autonomia da qualsiasi tipo di pressione per accettare. Cartina al tornasole di un attaccamento al mestiere di giornalista che esprimeva in ogni scelta, anche quelle che sembravano difficilmente sopportabili a chi si trovava a lavorare con lui. Abitudinario nella vita lavorativa, lo era anche nel privato (di cui era, giustamente, gelosissimo). Le cene del giovedì al “Volo a vela” insieme all’amico Alessandro Casarin, attuale direttore della Tgr, con una bottiglia di quello buono. Le vacanze con la famiglia in Francia sempre nei soliti quindici giorni di luglio. La pipa, smozzicata anche spenta alla scrivania. Ne ha cresciuti, Ezio, di ragazzi e ragazze nella vecchia redazione di Varese, della quale era diventato il capo a fine anni ‘90. Burbero, perfino ispido a volte, in tutti ha lasciato un segno, a partire da quelle telefonate o sms mattutini con la richiesta di occuparsi di qualche fatto o di intervistare qualche protagonista dei fatti della vita varesini. E non è un caso che moltissimi di loro - e chi non ce l’ha fatta, è stato solo per un tiro del destino - abbiano costruito apprezzabili carriere. Molti in questo giornale. Un pezzo del merito, Ezio, è anche tuo. “Non è vero, ma sta bene”, dicevi spesso di qualche pezzo, contraddicendo scherzosamente la linea che ti ha sempre guidato nella tua vicenda a Il Giorno. Stavolta, purtroppo, è vero. E tutti noi che ti abbiamo conosciuto, oggi, siamo un po’ più soli.
L’intera redazione de Il Giorno, nel ricordo del caro Ezio, si unisce nel dolore alla moglie Marilena e ai figli Clizia e Filippo.