
Arresti a Varese
Varese, 11 febbraio 2021 - Il tesoro della malavita nascosto a Varese. E’ quanto ha scoperto una vasta indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Catania, diretta dalla Dda e condotta dalla Guardia di finanza di Catania, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata. L’inchiesta ha ricostruito gli investimenti dei guadagni illeciti del clan Scalisi, articolazione della famiglia mafiosa Laudani, derivanti da attività imprenditoriali gestite dal nipote del capo clan e da due imprenditori catanesi, i quali a loro volta utilizzavano diversi prestanome per la costituzione di numerose società. In Lombardia, a Varese e Mantova, oltre che in Sicilia e in Veneto, sono state sequestrate diciassette società e quarantotto immobili, per un valore di oltre 50 milioni di euro.
Ventisei le persone indagate nel procedimento penale e sottoposte a misura cautelare, con accuse a vario titolo per associazione a delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori al fine di eludere la normativa antimafia. Il gip di Catania inoltre, su richiesta della Procura Distrettuale, ha condiviso la configurabilità del concorso esterno a carico dei due imprenditori. Cinque degli indagati sono finiti in carcere, mentre delle società sequestrate alcune hanno sede proprio a Varese, mentre terreni e appartamenti tra Catania e Messina. Inoltre, nel corso delle attività di perquisizione domiciliare nei confronti degli arrestati sono stati sequestrati oltre 1 milione di euro in contanti, orologi, preziosi e auto di lusso, tra cui una Ferrari modello F458 del valore di 200 mila euro, due Porsche e un’Audi Q8.
La complessa attività d’indagine ha riguardato soggetti appartenenti o contigui al clan Scalisi di Adrano e ha accertato la capacità del gruppo mafioso di inserirsi nel tessuto economico-sociale e di infiltrarsi in strutture produttive attive sull’intero territorio nazionale e con sede nel Nord-Est, dalle quali traeva poi finanziamento. In particolare, l’indagine ha evidenziato come il capo clan, anche dal carcere, abbia continuato a rappresentare il punto di riferimento dell’associazione criminale, dirigendo, anche nel corso dei "colloqui" garantiti in prigione, l’attività della consorteria criminale. Ciò grazie soprattutto al nipote, al quale è stato riconosciuto un ruolo di assoluto rilievo nell’ambito del sodalizio quale portavoce dello zio sul territorio e supervisore degli investimenti. I due imprenditori indagati per concorso esterno, potendo contare sulla copertura anche finanziaria fornita dall’associazione mafiosa, hanno progressivamente esteso sull’intero territorio nazionale le loro illecite attività, gradualmente diversificandole e rilevando anche società operanti nel settore della commercializzazione dei prodotti petroliferi in Veneto e Lombardia.