"Il campanello d’allarme deve scattare al primo litigio contrassegnato da violenza, ma purtroppo la maggior parte delle donne non chiede aiuto, se non dopo anni di violenza". A confermare quanto rilevato dagli operatori del 1522 è Ivana Giannetti, una carriera in Polizia che l’ha portata a ricoprire il ruolo di vice questore, ma nota a Brescia soprattutto per aver fondato l’associazione Telefono Azzurro Rosa. Correva l’anno 1988, 35 anni fa, quando erano pochi a parlare di violenza su donne e bambini. Allora Giannetti ebbe l’intuizione di creare un servizio per loro, di ascolto e accoglienza. Dopo la ristrutturazione di Cascina Botà (ad opera dell’associazione per 1,2 milioni), sono stati realizzati degli appartamenti dove vengono ospitate donne e bimbi vittime di violenza.
Di fatto, in questo arco di tempo, è cambiata la sensibilità verso il fenomeno della violenza di genere, che spesso si traduce anche in violenza assistita, ma le dinamiche scatenanti e le reazioni, purtroppo, restano pressoché analoghe. "Le donne chiamano – spiega Giannetti, in riferimento alla linea telefonica attivata (030.3530301) – ma dovrebbero farlo prima, senza subire anni di angherie. Resta sempre molto difficile identificare i comportamenti violenti di compagni, mariti, gli insulti, le umiliazioni. Per troppo tempo accettano quelli che ritengono comportamenti arbitrari. Molte delle donne con cui parlo mi chiedono dove sbagliano, perché si sentono in colpa, quasi responsabili delle violenze. Ma il femminicidio non è un raptus, bensì un percorso di uomini che faticano a sostenere la minima prova di libertà della donna, perché, in fondo, la considerano un nulla". Educazione sin dalla tenera età, ma anche leggi più punitive e pene certe sarebbero la strada per uscire dal tunnel. "Da anni diciamo che serve la firma quotidiana ed il braccialetto elettronico, per i maltrattanti, ma non si è mai attuato". F.P.